Titolo: Contributi alla lotta rivoluzionaria destinati a essere discussi, corretti e principalmente messi in pratica senza perdere tempo
Data: 2009
Note: Titolo originale: Ratgeb, De la grève sauvage à l’autogestion généralisée, Union générale d’éditions, Paris 1974
Prima edizione italiana: febbraio 1978
Seconda edizione: settembre 2009
Opuscoli provvisori n. 23
SKU: opuscoli-000023
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Nota introduttiva alla seconda edizione

Ci sono tanti modi di leggere questo libretto, ogni lettore se ne deve inventare uno, uno che gli aggrada e che gli apra le porte di un “mondo nuovo”. In effetti è questo lo scopo del suo autore. Non una guida pedissequa e noiosa, ma un continuo ribollire di proposte, alcune perfino paradossali – almeno ad una prima lettura – ma che ben presto si rivelano del tutto logiche, bene inserite in un contesto che, come si potrà constatare, non perde un colpo.

Si può dire che questo testo parla da solo, che non ha bisogno di assistenza introduttiva, ed è questo uno dei motivi che mi spinsero a non proporre nessuna nota per la prima edizione italiana, uscita nell’ormai lontano 1978, sempre con le Edizioni Anarchismo.

In fondo lo stesso voglio fare adesso. Solo poche righe.

Distruzione del lavoro, distruzione della merce, sabotaggio e saccheggio, scioperi selvaggi e occupazione delle realtà produttive, dono e distruzione della merce. E poi, senza riprendere fiato, domande: che farsene dell’organizzazione? Della merce? Della produzione autogestita?

Non è un condensato di sogni utopici, ma una proposta concreta. Quante occasioni ci siamo lasciati scorrere fra le mani come acqua fresca? Di certo molte. E in queste occasioni non abbiamo messo in pratica quello che qua è nero su bianco. Lo so, ma non è questo il punto. Non è per rammaricarmi delle occasioni perdute che ripubblico il testo di Vaneigem, ma per la sua costante validità anche oggi.

Che come tanti intellettuali anche Vaneigem si lasci irretire dal gioco delle parole, ad esempio non fornendo una giusta chiarificazione del cosiddetto “terrorismo”, è pecca veniale, oggi ognuno può rifletterci sopra possedendo gli strumenti adeguati: la realtà e i suoi pugni in faccia sono sotto gli occhi di tutti. Ma il resto rimane valido, ed è tantissimo. Coraggiosamente tanto.

Ben al di là e, qualche volta sorprendentemente al di là, di tante ciance che passano per ultra-gauchisme.

Lo pseudonimo è tratto da Jörg Ratgeb (1480-1526), pittore tedesco, sostenitore dell’insurrezione dei contadini repressa ferocemente dai nobili con la benedizione dei riformatori luterani. Catturato e torturato a Pforzheim fu squartato da quattro cavalli.


Trieste, 12 dicembre 2008

Alfredo M. Bonanno

La società della sopravvivenza

1. Avete provato almeno una volta il desiderio di arrivare in ritardo al lavoro, o di lasciarlo prima dell’orario?

In questo caso avete capito che:

  1. Il tempo del lavoro conta doppio perché è tempo perduto due volte:

    • come tempo che sarebbe stato più gradevole impiegare nel fare l’amore, nel fantasticare, nei piaceri, nelle passioni; come tempo di cui disporre liberamente;

    • come tempo di usura fisica e nervosa.

  2. Il tempo del lavoro assorbe la maggior parte della vita, perché determina anche il cosiddetto tempo “libero”, il tempo del sonno, dei tragitti per andare a lavoro, dei pasti, delle distrazioni. Esso raggiunge così l’insieme della vita quotidiana di ciascuno e tende a ridurla ad una successione di istanti e di luoghi, che hanno in comune la stessa ripetizione vuota, la stessa assenza crescente della vera vita.

  3. Il tempo del lavoro forzato è una merce. Dappertutto, dove c’è merce, c’è lavoro forzato, e quasi tutte le azioni umane finiscono per rientrare nel lavoro forzato. Produciamo, consumiamo, mangiamo, dormiamo per un padrone, per un capo, per lo Stato, per il sistema della merce generalizzata.

  4. Lavorare di più è vivere di meno.

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società che assicuri a ciascuno il diritto di disporre del tempo e dello spazio; di costruire ogni giorno la propria vita come la desidera.

2. Avete provato almeno una volta il desiderio di non lavorare (senza far lavorare gli altri al vostro posto)?

In questo caso avete compreso che:

  1. Anche se il lavoro forzato dovesse produrre solo beni utili, come vestiti, cibo, tecnica, confort..., non per questo risulterebbe meno oppressivo e inumano, perché:

    • il lavoratore sarebbe ancora spossessato del proprio prodotto e sottoposto alle stesse leggi del profitto e del potere;

    • il lavoratore continuerebbe a passare a lavorare dieci volte di più del tempo necessario ad una organizzazione attraente della creatività per mettere a disposizione di tutti beni cento volte di più;

  2. Nel sistema mercantile, che domina dappertutto, il lavoro forzato non ha come scopo, come si vuol far credere, quello di produrre beni utili e gradevoli per tutti; invece ha come scopo quello di produrre merci. Indipendentemente di ciò che queste possono contenere di valore d’uso utile, inutile o nocivo, le merci non hanno altra funzione che di garantire il profitto e il potere della classe dominante. In un tale sistema tutti lavorano per nulla e ne hanno, via via, coscienza.

  3. Accumulando e rinnovando le merci, il lavoro forzato aumenta il potere dei padroni, dei burocrati, dei capi, degli ideologi. Diventa così oggetto di disgusto per i lavoratori. Ogni sospensione del lavoro è un modo di ridiventare noi stessi e una sfida a quelli che lo impediscono.

  4. Il lavoro forzato produce soltanto merci. Ogni merce è inseparabile dalla menzogna che la rappresenta. Il lavoro forzato produce dunque menzogne, esso produce un mondo di rappresentazioni menzognere, un mondo capovolto in cui l’immagine tiene il posto della realtà. In questo sistema spettacolare e mercantile, il lavoro forzato produce su se stesso due importanti menzogne:

    • primo, che il lavoro è utile e necessario, e che è interesse di tutti di lavorare;

    • secondo, far credere che i lavoratori sono incapaci di emanciparsi dal lavoro e dal salariato, che non possono edificare una società.

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui la fine del lavoro forzato lascia il posto alla creatività collettiva regolata dai desideri di ciascuno, e alla distribuzione garantita dei beni necessari alla costruzione della vita quotidiana. La fine del lavoro forzato significa la fine del sistema in cui regnano il profitto, il potere gerarchico, la menzogna generale. Significa la fine del sistema spettacolare-mercantile e annuncia il cangiamento globale di tutte le preoccupazioni. La ricerca dell’armonia delle passioni, infine liberate e riconosciute, prende il posto della ricerca del denaro e delle molliche del potere.

3. Vi è capitato di sentire, fuori del posto del lavoro, lo stesso disgusto e la stessa stanchezza che in fabbrica?

In questo caso, avete compreso che:

  1. La fabbrica è dovunque. Essa è il mattino, il treno, l’auto, il paesaggio distrutto, la macchina, i capi, la casa, i giornali, la famiglia, il sindacato, la strada; gli acquisti, le immagini, la paga, la televisione, il linguaggio, le vacanze, la scuola, la vita coniugale, la noia, la prigione, l’ospedale, la notte. Essa è il tempo e lo spazio della sopravvivenza quotidiana. Essa è l’adeguamento ai gesti ripetuti, alle passioni ricacciate indietro e vissute per procura, per immagini interposte.

  2. Ogni attività ridotta alla sopravvivenza è un lavoro forzato; ogni lavoro forzato trasforma il prodotto e il produttore in oggetto di sopravvivenza, è merce.

  3. Il rifiuto della fabbrica universale è dappertutto poiché il sabotaggio e la riappropriazione si diffondono dappertutto presso i proletari e permettono loro di provare ancora piacere ad andare a zonzo, a fare l’amore, a incontrarsi, a parlare, a bere, a mangiare, a sognare, a preparare la rivoluzione della vita quotidiana non dimenticando nulla delle gioie del non essere del tutto alienati.

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui le passioni siano tutto, la noia e il lavoro nulla. Sopravvivere, fino ad oggi, ci ha impedito di vivere; si tratta, adesso, di abbattere il mondo, di capovolgerlo, di appoggiarsi sui momenti autentici, condannati alla clandestinità e alla falsificazione nel sistema spettacolare-mercantile: i momenti della reale felicità, del piacere senza riserve, della passione.

4. Avete già avuto l’intenzione di servirvi della macchina su cui lavorate per fabbricare un oggetto che volete usare fuori della fabbrica?

In questo caso avete capito che:

  1. la macchina produce effetti diversi secondo che venga impiegata a profitto del padrone e dello Stato, o a profitto immediato del lavoratore.

  2. Il principio della riappropriazione consiste nel riprendere al nemico le tecniche e le armi che impiega contro di noi.

  3. Il contrario del lavoro forzato, è la creazione individuale e collettiva. I proletari aspirano a creare le loro proprie condizioni di vita per smettere di essere proletari. A parte rari momenti rivoluzionari, questa creatività è restata fino ad ora clandestina (uso delle macchine, piccoli lavoretti, sperimentazione, ricerca di nuove passioni e sensazioni).

  4. La passione della creatività vuole diventare tutto. Come distruzione del sistema mercantile e come costruzione della vita quotidiana, essa è la passione che contiene tutte le altre. La riappropriazione delle tecniche a profitto della creazione fatta per tutti è quindi il solo modo di finirla con il lavoro e le separazioni che questo riproduce dappertutto (manuale-intellettuale, lavoro-tempo libero, teoria-pratica, individuo-società, essere-apparire...).

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui i depositi, i centri di distribuzione, le fabbriche, le tecniche apparterranno alle assemblee degli scioperanti, poi all’insieme degli individui raggruppati nell’assemblea di autogestione.

5. Vi è capitato di sabotare volontariamente alcuni pezzi nel corso della fabbricazione o di già in magazzino?

In questo caso avete capito che:

  1. La lotta degli operai contro la merce è il vero punto di partenza della rivoluzione. Essa fa vedere chiaramente come il piacere di essere se stessi e di gioire di tutto passa attraverso il piacere di distruggere in modo totale ciò che ci distrugge ogni giorno.

  2. La merce è il cuore di un mondo senza cuore; essa è la forza e la debolezza del potere gerarchizzato, dello Stato e della sua burocrazia. La libertà e la felicità individuali di tutti esigono non solo che la si attacchi ma che la si annienti definitivamente e totalmente (per esempio, il semplice sabotaggio delle merci non basta poiché la prematura usura dei prodotti messi sul mercato aiuta in definitiva il capitalismo privato e il capitalismo di Stato – URSS, Cuba, Cina... – ad accelerare il rinnovo degli acquisti e il rinnovo delle ideologie; migliorando così l’accumulazione della merce e l’accumulazione delle sue rappresentazioni e delle attitudini sociali che essa impone).

  3. Nella misura in cui il sabotaggio è un modo di fronteggiare il lavoro, ha il merito di risparmiare delle energie e di incoraggiare a non lavorare.

  4. Per quanto insufficiente sia, il sabotaggio dei prodotti finiti è una reazione sana. Esso traduce il disprezzo dell’operaio per la merce e per il ruolo di operaio, cioè per l’attitudine legata alle idee del lavoro necessario, del lavoro ben fatto e altre coglionate, che la società dominante gl’impone.

  5. Il rifiuto del ruolo d’operaio va di pari passo col rifiuto del lavoro e della merce. Vi sono tutte le possibilità che possa estendersi al rifiuto di tutti i ruoli, di tutti i comportamenti che fanno agire ciascuno non in funzione dei suoi desideri e delle sue passioni ma in funzione di immagini, buone o cattive, che gli vengono imposte e che sono la menzogna con cui la merce si rivela. Fatevi il conto di ciò che resta di voi quando, in una giornata di lavoro, accumulate una serie di ruoli come quello di padre di famiglia, di sposo, di operaio, di automobilista, di militante, di telespettatore, di consumatore...

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui scompariranno le separazioni man mano che il lavoro scomparirà; in cui ciascuno potrà al fine essere totalmente vero perché smetterà di produrre merce e relativa menzogna (il mondo capovolto in cui i riflessi sono più importanti dell’autentico).

6. Sabotando la produzione, provate il desiderio di divertirvi a sabotare anche le strutture repressive (apparati burocratici, poliziotti, quadri padronali, informazione, urbanismo)?

In questo caso avete capito che:

  1. Il sistema mercantile sa benissimo recuperare a proprio profitto il sabotaggio parziale della merce. Il sabotaggio limitato ai prodotti non distrugge il sistema mercantile perché la cattiva qualità ottenuta si somma solamente all’usura prematura già prevista dai padroni per provocare il rinnovo accelerato degli acquisti. Inoltre, il sabotaggio, come atto terrorista, rinnova lo stock di immagini dello spettacolo e vi apporta le indispensabili immagini negative (l’odioso-sabotatore, lo spaventoso-incendiario-di-magazzini...).

  2. Ciò che consente la trasformazione di un prodotto in merce e l’estensione del processo mercantile a tutte le attività sociali, è il lavoro forzato e le forze che lo proteggono e lo mantengono: lo Stato, i sindacati, i partiti, la burocrazia, lo spettacolo, cioè l’insieme delle rappresentazioni al servizio della merce e merci-esse-stesse (ideologie, cultura, ruoli, linguaggio dominante).

  3. La distruzione della merce attraverso la liquidazione del lavoro forzato è quindi inseparabile dalla liquidazione dello Stato, della gerarchia, dell’obbligazione, dell’incitamento al sacrificio, della menzogna e di quelli che organizzano il sistema della merce generalizzata. Se non attacca nello stesso tempo la produzione della merce e ciò che la protegge, il sabotaggio resta parziale e inoperante; diventa quel terrorismo che è la disperazione della rivoluzione e la fatalità autodistruttiva della società della sopravvivenza.

  4. Tutto ciò che non può essere riapproprialo a profitto dei rivoluzionari deve essere distrutto dal sabotaggio. Tutto ciò che ostacola la riappropriazione deve essere distrutto.

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui lo Stato e ogni forma di potere gerarchico scompariranno lasciando il posto alle assemblee dell’autogestione che avranno la disponibilità delle forse produttive e dei beni da distribuire gratuitamente, e che metteranno fine ad ogni pericolo di ricostruzione del sistema mercantile.

7. Avete già provato il desiderio di non leggere più i giornali e di rompere il vostro televisore?

In questo caso avete capito che:

  1. I giornali, la radio, la televisione sono i veicoli più grossolani della menzogna. Non solo essi allontanano ognuno dal vero problema – del “come vivere meglio” che si pone concretamente ogni giorno – ma in più spingono ogni individuo in particolare ad identificarsi con delle immagini artefatte, a mettersi astrattamente al posto di un capo di Stato, di una vedette, di un assassino, di una vittima, insomma a reagire come se fosse un’altra persona. Le immagini che ci dominano, sono il trionfo di ciò che non siamo e di ciò che ci scaccia da noi stessi, di ciò che ci trasforma in un oggetto da classificare, etichettare, gerarchizzare secondo il sistema della merce universalizzata.

  2. Esiste un linguaggio al servizio del potere gerarchizzato. Non solo nell’informazione, la pubblicità, le idee artefatte, le abitudini, i gesti condizionati ma anche in ogni linguaggio che non prepara la rivoluzione della vita quotidiana, in ogni linguaggio che non è posto al servizio dei nostri piaceri.

  3. Il sistema mercantile impone le sue rappresentazioni, le sue immagini, il suo senso, il suo linguaggio ogni volta che si lavora per esso, cioè la maggior parte del tempo. Questo insieme di idee, di immagini, d’identificazioni, di condotte determinate dalla necessità di accumulazione e di rinnovamento della merce forma lo spettacolo in cui ciascuno gioca ciò che non vive realmente e vive falsamente ciò che non è. È per questo che il ruolo è una menzogna vivente e la sopravvivenza un malessere senza fine.

  4. Lo spettacolo (ideologie, cultura, arte, ruoli, immagini, rappresentazioni, parole-merci) è l’insieme delle condotte sociali con le quali gli uomini entrano nel sistema mercantile. Vi partecipano contro la propria volontà diventando oggetti di sopravvivenza – merci – rinunciando al piacere di vivere realmente per essi e di costruire liberamente la propria vita quotidiana.

  5. Noi sopravviviamo in un insieme di immagini verso cui siamo spinti ad identificarci. Noi agiamo sempre meno da noi stessi e sempre più in funzione dell’astrazione che ci dirige secondo le leggi del sistema mercantile (profitto e potere).

  6. I ruoli o le ideologie possono essere favorevoli o ostili al sistema dominante, ciò importa poco poiché essi restano nello spettacolo, nel sistema dominante. Solo ciò che distrugge la merce e il suo spettacolo è rivoluzionario.

In sostanza, voi siete stufi di menzogna organizzata, di realtà invertita, di smorfie che scimmiottano la vera vita e finiscono di impoverirla. Voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui il diritto di comunicazione reale appartiene a tutti, in cui ciascuno possa fare conoscere ciò che lo riguarda grazie alla libera disposizione delle tecniche (tipografie, telecomunicazioni), in cui la costruzione di una vita appassionante elimina la necessità di mantenere un ruolo e di accordare più peso all’apparenza che all’autentico vissuto.

8. Vi è capitato di provare il sentimento sgradevole che a parte rari momenti voi non vi appartenete, che siete diventati stranieri a voi stessi?

In questo caso avete capito:

  1. Attraverso ognuno dei nostri gesti – meccanizzati, ripetuti, separati gli uni dagli altri – il tempo si sbriciola e, pezzo per pezzo, ci strappa a noi stessi. E questi tempi morti si riproducono e si accumulano lavorando per la riproduzione e l’accumulazione delle merci.

  2. Il diventare vecchi non è altro, oggi, che l’accrescersi dei tempi morti, del tempo in cui la vita si perde. È per questo motivo che non ci sono più giovani né vecchi, ma individui più o meno viventi. I nostri nemici sono coloro che credono e fanno credere che il cambiamento globale è impossibile, essi sono i morti che ci governano e noi siamo i morti che ci lasciamo governare.

  3. Noi lavoriamo, mangiamo, leggiamo, dormiamo, consumiamo, ci divertiamo, assorbiamo cultura, ci facciamo curare e così sopravviviamo come piante ornamentali. Noi sopravviviamo contro tutto ciò che ci incita a vivere. Noi sopravviviamo per un sistema totalitario e inumano – una religione di cose e di immagini – che ci recupera quasi dappertutto e quasi sempre per aumentare i profitti e i poteri della classe burocratica-borghese.

  4. Noi saremmo semplicemente ciò che fa sopravvivere il sistema mercantile se qualche volta non ridivetassimo di colpo noi stessi, se non ci facessimo cogliere dal desiderio di vivere appassionatamente. Invece di essere vissuti per procura, per immagini interposte, i momenti autenticamente vissuti e il piacere senza riserve, insieme al rifiuto di ciò che l’ostacola o lo falsifica, sono altrettanti colpi portati al sistema spettacolare-mercantile. Basta dar loro una maggiore coerenza per estenderli, moltiplicarli e rafforzarli.

  5. Creando appassionatamente le condizioni favorevoli allo sviluppo delle passioni, noi vogliamo distruggere ciò che ci distrugge. La rivoluzione è la passione che permette tutte le altre. La passione senza rivoluzione è solo un modo di rovinare il piacere.

In sostanza, voi siete studi di essere obbligati a trascinare la vostra vita nei tempi morti. E lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui la base non sarà più la corsa al profitto e al potere ma la ricerca e l’armonia delle passioni da vivere.

9. Avete già provato il desiderio di bruciare una organizzazione commerciale di distribuzione (supermercato, magazzino di vaste dimensioni, deposito)?

In questo caso avete capito che:

  1. Il vero inquinamento è l’inquinamento attraverso la merce universalizzata, estesa a tutti gli aspetti della vita. Ogni merce esposta in un supermercato è l’elogio cinico dell’oppressione salariale, della menzogna che fa vendere, dello scambio, del capo e del poliziotto che servono a proteggerli.

  2. L’esposizione delle merci è un momento della sopravvivenza e la glorificazione della sua miseria: elogio della vita perduta in ore di lavoro forzato; di sacrifici consentiti per acquistare della merda (cibo sofisticato, oggetti inutili, automobili-sarcofaghi, oggetti concepiti per realizzare la propria autodistruzione...); di inibizioni; di piaceri-angoscia; di immagini derisorie proposte in cambio di un’assenza della vera vita e comprate per compensazione.

  3. L’incendio di un grande magazzino non è un atto terrorista. In effetti, poiché la merce è concepita per distruggersi da se stessa e venire rimpiazzata, l’incendio non distrugge il sistema mercantile ma vi partecipa solo con un poco di brutalità in più. Ora, non si tratta che la merce ci distrugge distruggendo se stessa. Bisogna distruggerla totalmente per costruire l’autogestione generalizzata.

In sostanza voi siete stufi delle apparenze, della noia e dell’essere spettatori; stufi di un mondo in cui ciò che si vede impedisce di vivere e in cui ciò che impedisce di vivere si fa vedere come caricatura astratta della vita. E voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui la vera fine della merce è nel libero uso dei prodotti creati attraverso la fine del lavoro forzato. Contro il lavoro che impedisce l’abbondanza e produce solo il riflesso menzognero, noi vogliamo l’abbondanza che invita alla creatività e alle passioni.

10. Avete già provato il desiderio di prendere in fabbrica o nel magazzino dove lavorate questo o quello oggetto, per la buona ragione che avete partecipato alla sua produzione o per la ragione, ancora migliore, che ne avete bisogno o che vi piace?

In questo caso avete capito che:

  1. Non è rubare ma solo riprendere. I soli ladri sono i servitori del sistema mercantile e gli uomini che reggono lo Stato: padroni, burocrati, ideologi. Essi osano ancora condannare legalmente un operaio che prende in una fabbrica o in un magazzino ciò di cui ha bisogno, perché noi non riusciamo ancora a condannare loro praticamente.

  2. Un prodotto industriale o agricolo ha un senso solo se serve liberamente alle soddisfazioni di tutti. È un crimine contro il diritto al godimento, trasformarlo in merce, in elemento di scambio e di spettacolo.

  3. La condizione necessaria perché un oggetto sottratto al processo mercantile non vi ritorni, è evidentemente che esso non sia rivenduto, né appropriato a titolo privato, né scambiato contro una quantità di denaro o di potere (rubare per giocare d’azzardo, per mantenere un ruolo, è sempre riprodurre il processo spettacolare-mercantile, che sia o no tollerato dallo Stato);

  4. La condizione per cui un oggetto, o un’attitudine, non vengano recuperati dal sistema mercantile, è di impiegarli contro di esso, di stornarli contro la merce colta nel suo proprio movimento (questo movimento che trasforma un prodotto in merce va dall’oggetto concreto alla sua rappresentazione astratta, e la sua rappresentazione astratta è a sua volta concretizzata in diversi condizionamenti di attitudini sociali – i ruoli).

  5. La distruzione completa della merce non può farsi che attraverso la riappropriazione collettiva dei beni industriali e agricoli a profitto dell’autogestione generalizzata e attraverso l’autogestione generalizzata.

In sostanza, voi siete stufi di passare attraverso la sottomissione al denaro e ai ruoli per ottenere in cambio i beni necessari ad un simulacro di vita. Voi lottate, di già, coscientemente o no, per una società in cui la gratuità e il dono saranno i sedi rapporti sociali possibili.

11. Avete di già partecipato al saccheggio di una organizzazione di distribuzione (supermercato, grande magazzino, mercato all’ingrosso)?

In questo caso avete capito che:

  1. La ripresa individuale dei beni rubati dallo Stato e dai padroni ricade nel processo mercantile se essa non si trasforma in un’azione collettiva e in una liquidazione totale del sistema (per quanto possa essere simpatico il gesto, non basta riprendersi i beni, bisogna anche riprendersi lo spazio e il tempo rubati).

  2. Il saccheggio è una reazione normale alla provocazione mercantile (pensate alle scritte “offerta gratuita”, “libero servizio”, ecc.). Come il cosiddetto incendio criminale, esso non è che un’incarnazione del sistema. Allo stesso modo in cui il sistema mercantile si adatta ad una certa percentuale di furti nei grandi magazzini, così esso si adatta ad una certa percentuale di saccheggi, e calcola la propria autoregolazione in funzione di questi “incidenti” prevedibili e programmabili. Il fatto è così evidente che un rappresentante della legge, il giudice Kinnard, del tribunale di Liège si è rifiutato il 12 settembre 1973, di condannare penalmente i furti della merce esposta, con le notevoli considerazioni che seguono: “I furti di merce esposta al pubblico nei magazzini organizzati con il libero servizio sono una conseguenza inevitabile e d’altronde sono previsti nel prezzo che questo genere di commercio fissa per i prodotti in vendita. Essi sono in relazione all’azione pubblicitaria e alle diverse tentazioni scientificamente esposte, le quali, tutte insieme, formano una provocazione a comprare al di là, sia dei bisogni, sia delle possibilità d’acquisto. I furti della merce esposta non denotano generalmente negli autori una mentalità o un’attitudine che meriti di essere sanzionata penalmente”. La qual cosa farà senza dubbio giurisprudenza.

  3. Se, nel saccheggio, ciascuno si appropria dei beni come se fossero diventati sua proprietà privata, la merce ricompare e il sistema si riproduce (in questo caso, meglio distruggere tutto: si assicura così la scomparsa del 90 per cento di merda).

  4. Senza la coscienza dell’autogestione generalizzata, il saccheggio nel migliore dei casi è una forma incoerente di distribuzione. È un atto separato delle condizioni rivoluzionarie in cui la collettività, che crea i beni, li distribuisce direttamente ai suoi membri. Per altro, rischia, causando carestia e mancanza di prodotti utili, di ingenerare confusione negli spiriti e provocare un ritorno ai meccanismi della distribuzione mercantile.

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui la produzione non salariata e la distribuzione gratuita dei beni siano resi possibili dalla soppressione della proprietà e dal raggruppamento dei produttori in assemblee di autogestione. È là che la volontà di ciascuno si manifesta attraverso la voce dei delegati controllati e revocabili in ogni momento. Questi delegati fissano il bilancio dei beni disponibili e armonizzano le offerte di creazione produttiva e le domande individuali, in modo che l’abbondanza si stabilisce progressivamente e irreversibilmente.

12. Alla prima occasione, avete intenzione di rompere la faccia al vostro capo o a chiunque altro vi tratti da subordinato?

In questo caso avete capito che:

  1. Diventare un capo è cessare di essere uomo. Il capo è l’imballatore e l’imballaggio della merce. Fuori del sistema mercantile egli non può essere usato. Come le merci, si riproduce e si accumula: si misura in quantità di potere, dall’alto in basso della gerarchia. E il suo potere lo ricava dal potere che lo spettacolo esercita come volontà economica e come rappresentazione sociale sulla maggior parte della vita quotidiana.

  2. Più il potere si polverizza e si estende dappertutto, più si rafforza e si indebolisce. Più capi vi sono più sono impotenti. Più sono impotenti e più la macchina burocratica gira a vuoto, più impone a tutti l’apparenza della propria onnipotenza, e più la gente apprende a rifiutare globalmente la servitù.

  3. Dove esiste autorità vi è sacrificio e viceversa. Il capo e il militante sono la stessa pietra che uccide la rivoluzione, il punto in cui essa torna indietro e diventa il contrario dell’emancipazione.

  4. L’atto del terrorista che consiste nel liquidare, faccia a faccia, con la stessa palla, burocrate e padrone, non cambia nulla nelle strutture e non fa che accelerare il rinnovamento dei quadri dirigenti. Per liquidare lo Stato e le organizzazioni gerarchiche, che lo riproducono prima o poi, bisogna annientare il sistema mercantile.

  5. Lo Stato è il regolatore, il centro nervoso e la rete che protegge la merce. Esso si sforza di equilibrare le contraddizioni economiche, di ordinare politicamente il lavoro sociale in diritti e doveri del cittadino, di organizzare lo scontro ideologico e i meccanismi repressivi che trasformano ogni individuo in servitore del sistema mercantile.

  6. La collusione dello Stato e della merce può valutarsi a colpo d’occhio in base alla rapidità d’intervento dei poliziotti (e delle milizie padronali e sindacali) quando scoppia uno sciopero selvaggio.

In sostanza, voi lottate di già per una società senza obblighi nè sacrifici, in cui ciascuno è padrone di se stesso, e vive in condizioni tali che non potrà mai trascinare un altro uomo in schiavitù; una società senza classi, in cui il potere delegato ai Consigli si esercita sotto lo sguardo permanente e con la volontà di ogni singolo individuo.

13. Pensate con gioia ad un giorno futuro in cui i poliziotti si potranno trattare come esseri umani non essendo più necessario ucciderli sulla strada?

In questo caso avete capito che:

  1. Il poliziotto è il cane da guardia del sistema mercantile. Dove la menzogna della merce non basta più ad imporre l’ordine, egli esce col suo casco dalle cosce della classe o della casta burocratica dominante.

  2. Senza tener conto del disprezzo che egli ha per se stesso, il poliziotto è disprezzato come uccisore salariato, come servo di tutti i regimi, come schiavo professionista, come merce di protezione, come clausola repressiva del contratto economico-sociale imposto dallo Stato ai cittadini.

  3. Dove c’è lo Stato, là vi sono poliziotti. Dove vi sono poliziotti – a cominciare dal servizio d’ordine delle manifestazioni della contestazione – vi è lo Stato o i suoi progetti.

  4. Ogni gerarchia è poliziesca.

  5. Uccidere un poliziotto è un passatempo per candidati al suicidio. Bisogna decidersi a farlo solo per autodifesa, nel momento generale della liquidazione di tutti i poteri gerarchici.

  6. La felicità non è possibile che là dove lo Stato ha cessato di esistere; dove nessuna condizione di gerarchizzazione ne prepara il ritorno.

In sostanza, voi siete stufi di controllo e obbligo, del poliziotto che vi ricorda che non siete nulla e che lo Stato è tutto, del sistema che crea le condizioni del crimine illegale e legalizza il crimine dei magistrati che lo reprimono. Voi lottate di già per una armonizzazione degli interessi passionali (per la scomparsa degli interessi economici e spettacolari) e per l’organizzazione dei rapporti tra individui attraverso l’abbondanza degli incontri e la libera diffusione dei desideri.

14. Avete già provato il desiderio di gettare la busta paga in faccia al cassiere?

In questo caso avete capito che:

  1. Il salariato riduce l’individuo a una cifra. Dal punto di vista capitalista, il salariato non è un uomo ma un indice nel costo di produzione e una certa percentuale di acquisto riguardo il consumo.

  2. Il salariato è la base dello sfruttamento globale come altrettanto il lavoro alienato e la produzione di merci sono la base del sistema spettacolare-mercantile. Migliorarlo, significa migliorare lo sfruttamento del proletariato tramite la classe burocratico-borghese. Si può soltanto sopprimerlo.

  3. Il salariato esige il sacrificio di più di otto ore di vita per otto ore di lavoro, scambiate contro una somma di denaro che non copre che una piccola parte del lavoro fornito, il resto costituisce il profitto del padrone. E questa somma deve essere a sua volta scambiata contro prodotti inquinati e sofisticati, attrezzi pagati dieci volte il loro prezzo, oggetti alienanti (l’automobile che consente di lavorare, di consumare, di inquinare, di distruggere il paesaggio, di guadagnare tempo vuoto e di uccidersi); senza contare quello che bisogna pagare allo Stato, agli specialisti, ai racket sindacali...

  4. È errato credere che le rivendicazioni del salario possano mettere in pericolo il capitalismo privato o di Stato: il padrone accorda ai lavoratori solo quanto è necessario ai sindacati per dimostrare che servono ancora a qualcosa; e i sindacati esigono dal padrone (che per altro dispone dell’aumento dei prezzi al consumo) solo le somme che non mettono in pericolo un sistema di cui sono i profittatori in secondo grado.

In sostanza, voi siete stufi di vivere la maggior parte del tempo in funzione dei soldi, di essere ridotti alla dittatura dell’economia, di sopravvivere senza avere il piacere di vivere passionalmente. Voi lottate di già, coscientemente o no, per una ripartizione di beni utili che non dipendano dalla corsa al profitto e che rispondano ai bisogni reali della gente.

15. Vi è capitato di sputare sul prete che passa? D’avere desiderio di bruciare una chiesa, un tempio, una moschea, una sinagoga?

In questo caso avete capito che:

  1. La religione è l’oppio della creatura oppressa.

  2. Ogni religione chiama al sacrificio, tutto ciò che chiama al sacrificio è religioso (i militanti, per esempio).

  3. La religione è il modello universale della menzogna, il capovolgimento del reale a profitto di un mondo mitico, che diventerà, una volta dissacrato, lo spettacolo della vita quotidiana.

  4. Il sistema mercantile dissacra; distrugge lo spirito religioso e ridicolizza i suoi oggetti (papa, corano, bibbia, crocifisso...) ma nello stesso tempo, li conserva come un incitamento permanente a preferire l’apparenza al reale, la sofferenza al piacere, lo spettacolo al vissuto, la sottomissione alla libertà, il sistema dominante alle passioni. Lo spettacolo è la religione nuova e la cultura è il suo spirito critico.

  5. I simboli religiosi attestano la permanenza del disprezzo che i regimi gerarchici di tutti i tempi hanno avuto verso gli uomini. Per non portare che un esempio, Cristo...

Al primo posto delle succursali dei prodotti divini, le Chiese cristiane hanno adottato sotto la pressione del processo mercantile una esibizione contorsionista che vedrà la propria fine solo con la scomparsa completa del suo simbolo pubblicitario, il camaleonte Gesù. Figlio di dio, figlio di puttana, figlio di vergine, facitore di miracoli e di panini, pederasta e puritano, militante e membro del servizio d’ordine, accusatore ed accusato, condannato e astronauta, non c’è un ruolo che non sia alla portata di questo stupefacente guitto. Lo si è visto come mercante di sofferenze, commesso di grazie, sanculotto, socialista, fascista, anti-fascista, stalinista, barbuto, reichiano, anarchico. È stato sotto tutte le insegne, sotto tutte le bandiere, ai due lati del bastone, nella maggior parte delle esecuzioni capitali, dove ha tenuto sia la mano del carnefice che quella del condannato. Ha il suo posto nei commissariati, nelle prigioni, nelle scuole, nei bordelli, nelle caserme, nei grandi magazzini, nelle zone di guerriglia. Ha servito da pennacchio, da cartello indicatore, da spaventapasseri per conservare in pace i morti e in ginocchio i vivi, da tortura e da regime dimagrante; servirà da cazzo di gomma quando i mercanti di santini senza prepuzio avranno riabilitato commercialmente il peccato. Povero Maometto, povero Budda, povero Confucio, tristi rappresentanti di ditte concorrenti e senza immaginazione né dinamismo. Gesù vince su tutti i fronti. Gesù Cristo super-droga e super-star: tutte le immagini di dio in una vendita promozione di dio.

La pelle dei coglioni del grande-papa-nessuno tirata con tre spilli e montata come amuleto è il simbolo più completo dell’uomo come merce universale.

In sostanza, voi lottate già, coscientemente o no, per una società in cui sarà scomparsa l’organizzazione della sofferenza e dei suoi compensi, in cui ciascuno essendo padrone di se stesso l’idea di dio non avrà più senso, in cui soprattutto i problemi del vissuto autentico e delle passioni da soddisfare prevarranno definitivamente sui problemi della vita capovolta e delle passioni inibite.

16. Siete addolorati per la distruzione sistematica della campagna e del paesaggio urbano?

In questo caso avete capito che:

  1. L’urbanismo è l’appropriazione del territorio da parte del sistema mercantile e delle sue polizie.

  2. La miseria del decoro spettacolare è il decoro della miseria generale.

  3. Urbanista = sociologo = ideologo = poliziotto.

  4. Per il sistema dominante, non c’è più né paesaggio, né natura, né strada dove gironzolare, ma redditività del metro quadrato; plus-valore del prestigio attraverso il mantenimento di un metro di verde, di alberi o di nicchie; espulsioni e raggruppamenti gerarchizzati della popolazione, pattugliamento poliziesco dei quartieri popolari, ambiente studiato per condizionare alla noia e alla passività.

  5. Il potere non cerca nemmeno di dissimulare che la sistemazione del territorio è principalmente e direttamente concepita in funzione di una prossima guerra civile: le strade sono rafforzate in previsione del passaggio dei carri armati; le torri e gli insiemi di nuova costruzione nascondono le telecamere che trasmettono direttamente alla polizia, ventiquattro ore su ventiquattro, la vista panoramica delle strade; negli immobili moderni sono previste delle “camere da tiro” per i tiratori scelti della polizia.

  6. Lo sguardo del sistema dominante trasforma in merce qualsiasi cosa. L’ideologia è l’occhio artificiale del potere, quello che permette di vedere come vivente ciò che è già morto, ciò che è già trasformato in merce.

In sostanza, voi lottate già, coscientemente o no, per una società in cui la vostra volontà di sfuggire all’urbanismo e agli ideologi si tradurrà nella libertà di organizzare secondo le vostre passioni lo spazio e il tempo della vita quotidiana, di costruire i vostri propri luoghi di abitazione, di praticare il nomadismo, di rendere le città appassionanti e ludiche.

17. Provate il desiderio di fare l’amore – non per abitudine ma appassionatamente – con la vostra compagna o compagno, con la prima o col primo venuto, con vostra figlia, con i vostri genitori, i vostri amici e amiche, i vostri fratelli e sorelle?

In questo caso avete capito che:

  1. Bisogna smetterla con le riserve imposte all’amore, che si tratti di tabù, di convenienze, di approvazione, di obbligo, di gelosia, di libertinaggio, di stupro, di tutte le forme di scambio che dalla moda scandinava alla prostituzione, trasformano l’arte di amare in rapporti tra cose.

  2. Siete stufi del piacere misto ad angoscia; dell’amore vissuto in modo incompleto, deformato o inautentico; del fottere per procura ed immagini interposte; della fornicazione malinconica; degli orgasmi impotenti; dei rapporti igienici; delle passioni ingoiate, inibite e dirette a distruggere l’energia che dovrebbero mettere in moto in una società capace di favorire la loro armonizzazione.

  3. Tutti cercano, che lo confessino o no, l’amore-passione multiplo e unitario. Noi vogliamo creare socialmente le condizioni storiche di un’avventura passionale permanente, di una gioia senza altro limite che l’esaurirsi delle possibilità, di un gioco in cui il piacere e la cessazione del piacere ritroveranno la loro positività (per esempio nella nascita e nella fine di un legame amoroso libero).

  4. L’amore è inseparabile dalla realizzazione individuale, dalla comunicazione tra gli individui (dalle possibilità di incontrarsi), dalla partecipazione autentica e passionale ad un progetto comune. Non può separarsi dalla lotta per l’autogestione generalizzata.

  5. Non esiste un piacere che non scopra il proprio senso nella lotta rivoluzionaria e, lo stesso, la rivoluzione non ha altro scopo che realizzare tutti i piaceri in un loro libero sviluppo.

In sostanza voi lottate già, coscientemente o no, per una società in cui il massimo delle possibilità sarà socialmente disposto in modo da moltiplicare i raggruppamenti liberi e mutevoli tra gente attirata dalle stesse attività, dagli stessi piaceri; in cui le attrazioni fondate sul gusto della varietà, dell’entusiasmo, dei giochi terranno conto sia degli accordi come dei disaccordi e degli scarti.

18. Vi è capitato di sentirvi a disagio qualche volta quando le circostanze dominanti vi hanno obbligato a mantenere un ruolo?

In questo caso avete capito che:

  1. Non c’è altro piacere completo che quello di diventare ciò che si è, realizzandosi come uomo di desideri e di passioni. Al contrario, le relazioni sociali, organizzate come spettacolo della vita quotidiana, impongono a ciascuno di conformarsi ad una serie di apparenze e di comportamenti inautentici; esse incitano ad identificarsi a delle immagini, a dei ruoli.

  2. I ruoli sono la miseria falsamente vissuta che compensa la miseria vissuta realmente. I ruoli (di capo, di subordinato, di padre o madre di famiglia, di bambino sottomesso o ribelle, di contestatore, di conformista, di ideologo, di seduttore, di uomo di prestigio, di teorico, di attivista, di pedante colto, ecc.) obbediscono tutti alla legge dell’accumulazione e della riproduzione delle immagini nell’organizzazione spettacolare della merce. E nello stesso tempo, essi dissimulano e frenano l’impotenza reale degli individui a cambiare in concreto la loro vita quotidiana, a renderla appassionante, a viverla come un insieme di passioni armoniose.

  3. Il rifiuto dei ruoli passa attraverso il rifiuto delle condizioni dominanti (è bene ricordarsi che il ruolo può anche servire da protezione, come il ruolo del buon operaio, che può coprire le attività di sabotaggio e di riappropriazione).

  4. Non si tratta di cambiare il ruolo ma di liquidare il sistema che costringe a prendere in gioco se stessi contro la propria volontà. La lotta rivoluzionaria è la lotta per la vita autenticamente vissuta.

In sostanza, voi lottate già, coscientemente o no, per il diritto all’autenticità, per la fine delle dissimulazioni e delle menzogne imposte, per il diritto di affermare la specificità di ciascuno senza giudicarla né condannarla ma al contrario permettendogli di dare liberamente corso ai suoi desideri e alle sue passioni, per quanto singolari siano. Voi lottate per una società in cui la verità sarà pratica di ogni istante.

19. Siete istintivamente sospettosi verso tutto ciò che è intellettuale e spinge alla intellettualizzazione?

In questo caso avete capito che:

  1. La funzione intellettuale è, insieme alla funzione manuale, il risultato della divisione sociale del lavoro. La funzione intellettuale è una funzione di padrone, la funzione manuale una funzione di schiavo. L’una e l’altra sono ugualmente disprezzabili, e noi le aboliremo abolendo la divisione del lavoro e la società di classe.

  2. Nella lotta della borghesia rivoluzionaria contro la classe feudale e lo spirito religioso, la cultura è stata un’arma di liberazione parziale, un’arma di demistificazione. Quando la borghesia è diventata a sua volta classe dominante, la cultura ha conservato per un certo tempo la sua forma rivoluzionaria. Intellettuali come Fourier, Marx, Bakunin hanno tratto dalle rivendicazioni proletarie, espresse negli scioperi e nelle sommosse, una teoria radicale che, presa in coscienza e praticata dagli operai, avrebbe potuto rapidamente liquidare la borghesia.

  3. Al contrario, i pensatori specializzati del proletariato – intellettuali operaisti e operai intellettualizzati – giocando a fare i tribuni, gli uomini politici, le guide della classe operaia, hanno trasformato la teoria radicale in ideologia, cioè in menzogna, in idee al servizio dei padroni. Il socialismo e le varietà di giacobinismo (blanquismo, bolscevismo...) hanno costituito il movimento che annuncia la dittatura burocratica sul proletariato, come appare in tutti i partiti cosiddetti operai, nei sindacati e nelle organizzazioni della sinistra.

  4. Gli intellettuali sono l’esercito di riserva della burocrazia, sia che si tratti di intellettuali operaisti che di operai intellettualizzati.

  5. In particolare la pretesa scienza economica è una mistificazione burocratico-borghese. Non ha senso che nell’organizzazione capitalista dell’economia, e nemmeno là! Una volta abolita quest’ultima, ogni operaio è meglio preparato ad organizzare la nuova produzione del più scientifico degli economisti (senza nemmeno andare al di là del riformismo i lavoratori della LIP hanno dimostrato che erano capaci di fare andare avanti la fabbrica e di fare a meno dei quadri).

  6. Il rifiuto dell’intellettualizzazione non ha senso fuori della lotta per la liquidazione della divisione del lavoro, della gerarchia, dello Stato.

  7. Gli intellettuali operaisti sono dei coglioni e dei porci. Come intellettuali, accettano, vergognandosene o meno, di conservare una missione dirigente. Sotto il ruolo e la funzione di operaio, essi perpetuano l’imbroglio del ruolo e una funzione di schiavo di cui nessun operaio vuol più sentir parlare. Scegliendo di lavorare nella fabbrica mentre gli operai sono obbligati a farlo aspettando il momento di liberarsi definitivamente del lavoro, essi sono ridicoli e controrivoluzionari (perché l’appello al sacrificio è sempre controrivoluzionario).

  8. Gli operai che sono fieri di essere operai sono dei servitori coglioni. Gli operai intellettualizzati sono anch’essi dei porci come un qualsiasi candidato dirigente che si basa sulla disponibilità dei “buoni operai”.

  1. La teoria radicale, uscita dalle lotte di emancipazione del proletariato, appartiene ormai, nella sua forma più chiara e più semplice, a coloro che sono capaci di metterla in pratica, ai lavoratori rivoluzionari, cioè a tutti i proletari che lottano per la fine del proletariato e della società di classe. Essa appartiene a tutti coloro che lottano per l’autogestione generalizzata, per la società senza schiavi.

In sostanza, voi lottate di già per una società che si organizza in modo tale che le separazioni scompariranno, che la diversità aumenterà nell’unità del progetto rivoluzionario, che l’insieme delle conoscenze imprigionate nella cultura sarà restituito alla pratica di arricchimento della vita quotidiana, che il sapere si troverà solo dove si trova il piacere, che passioni e ragioni saranno inseparabili, che la soppressione della divisione del lavoro, spinta alle sue estreme conseguenze, creerà le vere condizioni di armonizzazione sociale.

20. Provate un uguale disprezzo per quelli che fanno politica e per quelli che non la fanno ma la lasciano fare agli altri al proprio posto?

In questo caso avete capito che:

  1. È tradizione considerare gli uomini politici come pagliacci dello spettacolo ideologico. Ciò permette di disprezzarli continuando a votare per loro. Nessuno fa eccezione, perché nessuno sfugge all’organizzazione spettacolare del vecchio mondo.

  2. La politica è sempre la ragione di Stato. Per finirla con essa, bisogna finirla con il sistema spettacolare-mercantile e la sua organizzazione di protezione: lo Stato.

  3. Non esiste un parlamentarismo rivoluzionario. Tra i regimi parlamentari e i regimi dittatoriali, non c’è che la differenza tra la forza della menzogna e la verità del terrore.

  4. Come ogni ideologia, come ogni attività separata, la politica recupera le rivendicazioni radicali per sbriciolarle e trasformarle nel loro contrario. Per esempio, la volontà di cambiare la vita diventa, nelle mani dei partiti e dei sindacati, una rivendicazione del salario, una domanda di tempo libero e altri miglioramenti della sopravvivenza che non fatto altro che accrescere il malessere rendendolo più o meno confortevole momentaneamente.

  5. Le grandi ideologie politiche (nazionalismo, socialismo, comunismo) hanno perduto la loro attrattiva man mano che i comportamenti sociali imposti dall’imperialismo della merce moltiplicavano le “ideologie tascabili”. A loro volta, le molliche ideologiche (le idee sull’inquinamento, l’arte, il confort, l’educazione, l’aborto, i topi campagnoli) si politicizzano in raggruppamenti grossolani verso la destra o verso la sinistra. Non è altro che un modo di allontanare la gente dall’unica preoccupazione che sta loro veramente a cuore: cambiare la propria vita quotidiana nel senso dell’arricchimento e delle avventure passionali.

  6. Non esiste nessuno che non lotta per se stesso e che, per la maggior parte del tempo, non finisce per lottare contro se stesso. L’azione politica è una delle cause principali di questa inversione del risultato cercato. Solo la lotta per l’autogestione di tutto risponde in pieno al desiderio reale di ogni individuo. È per questo che essa non è né politica né apolitica ma sociale e totale.

In sostanza, voi lottate già, coscientemente o no, per una società in cui la decisione appartiene a tutti; in cui le divergenze tra gli individui e i gruppi sono rapportate in tal modo che non si traducono in distruzioni reciproche ma al contrario rafforzano e aiutano tutti. Bisogna che la parte ludica imprigionata e ingoiata nella politica si liberi nel gioco dei rapporti tra gli individui e tra i gruppi di affinità, attraverso relazioni equilibrate ed armoniose di accordi e di contrasti.

21. Avete strappato da diverso tempo la vostra tessera sindacale?

In questo caso avete capito che:

  1. È falso credersi traditi dai sindacati. Questi formano un’organizzazione, separata dai lavoratori, che diventa per forza un potere burocratico contro di essi nello stesso tempo che organizza lo spettacolo della loro difesa.

  2. Creati per la difesa degli interessi immediati di un proletariato eccessivamente sfruttato, i sindacati sono diventati, con lo sviluppo del capitalismo, i sensali titolati della forza lavoro. Il loro scopo non è quello di abolire il salariato ma di migliorarlo. Sono quindi i migliori servitori del capitalismo che regna, sotto la forma privata o statale, nel mondo intero.

  3. L’idea anarchica di un “sindacato rivoluzionario” è di già il recupero burocratico del potere diretto che i lavoratori possono esercitare direttamente riunendosi in assemblee di consiglio. Nata dal rifiuto della politica nel nome del sociale, essa ricade nell’inganno della separazione e dei leader (anche se alcuni tra loro non vogliono comportarsi come capi).

  4. I sindacati sono la burocrazia parastatale che completa e perfeziona il potere che la classe borghese esercita sul proletariato.

In sostanza, voi lottate di già ad ogni sciopero selvaggio per affermare direttamente il potere di tutti contro ogni rappresentazione che segna una separazione. Noi non vogliamo delegati sindacali ma assemblee in cui le decisioni siano prese da tutti ed applicate a profitto di tutti. Invece di discutere sulla ripresa o meno del lavoro, vogliamo pronunciarci sull’uso che faremo delle fabbriche e di noi stessi. Noi vogliamo tradurre la nostra volontà nei fatti eleggendo un Consiglio, in cui ogni membro sia revocabile in qualsiasi momento, e che sia incaricato di applicare le decisioni prese dall’assemblea.

22. Vi è capitato di essere stufi di vostra moglie, di vostro marito, dei vostri genitori, dei vostri figli, dei problemi e degli obblighi familiari?

In questo caso avete capito che:

  1. La famiglia e la più piccola unità di oppressione sociale, la scuola di menzogna, di apprendistato del ruolo, il condizionamento alla sottomissione, il cammino dell’inibizione, la distruzione sistematica della creatività dell’infanzia, il luogo comune della stupidaggine, del risentimento, della rivolta teleguidata.

  2. L’autorità familiare non ha smesso di decrescere e di essere contestata man mano che il sistema mercantile diminuisce il potere degli uomini a favore dei meccanismi oppressivi in cui la gente del potere è stata trasformata in ingranaggio. Il sistema mercantile conserva così la famiglia vuotandola dei suoi antichi significati quasi umani; essa diventa ancora più insopportabile.

  3. La famiglia è il luogo in cui tutte le umiliazioni di essere trattati come oggetti nella società della sopravvivenza, danno il diritto di umiliare e di trasformare in oggetti quelli che ne fanno parte.

  4. L’emancipazione delle donne è inseparabile dall’emancipazione dei bambini e dall’emancipazione degli uomini. L’abolizione della famiglia è inseparabile dalla liquidazione del sistema spettacolare-mercantile. Ogni rivendicazione separata dall’insieme (Movimento di liberazione della donna, Movimento di liberazione del bambino, Fronte omosessuale di azione rivoluzionaria...) non è altro che un riformismo e non fa altro che sostenere l’oppressione.

  5. L’imperialismo mercantile, che distrugge la famiglia tradizionale, fa della famiglia il luogo della passività e della sottomissione al sistema (e della sua contestazione che nutre la contestazione in dettaglio).

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui ognuno dispone liberamente di se stesso senza dipendere da qualcuno, senza essere sottomesso ad un sistema oppressivo, ponendosi solo problemi di armonizzazione dei propri desideri. Una società che si preoccupa principalmente della soppressione degli obblighi domestici e che lascia l’educazione dei bambini ai volontari, cominciando dai bambini stessi.

23. Avete spesso l’impressione di vivere in un mondo capovolto, in cui la gente fa il contrario di quello che desidera, passa il tempo a distruggersi e a sognare quello che li distrugge, obbedisce a delle astrazioni e vi sacrifica la propria vita reale?

In questo caso avete capito che:

  1. Il lavoro alienato è la base di tutte le alienazioni. Esso è all’origine storica della divisione sociale in padroni e schiavi, e di tutte le separazioni che ne derivano (religione, cultura, economia, politica), di tutto ciò che distrugge l’uomo nascondendosi sotto un aspetto umano.

  2. Così sono i prodotti, le relazioni sociali, le immagini e rappresentazioni create dai produttori, in condizioni tali che questi sono spossessati e li vedono rivolti contro di loro, mascherando la loro ostilità e la loro disumanità sotto apparenze inverse di quelle reali (il padrone si dice servo degli schiavi, gli sfruttatori del proletariato si pretendono al servizio del popolo, le immagini del vissuto vengono fornite come la sola realtà autentica, ecc.).

  3. La differenza sempre più sensibile e sempre più insopportabile tra le miserie quotidiane della sopravvivenza, le rappresentazioni menzognere che ci vengono proposte e l’aspirazione comune di tutti a vivere una vera vita, mostra ogni giorno più chiaramente che la lotta è tra il partito della sopravvivenza e della decomposizione e il partito della vita e del superamento; che la lotta finale per la società senza classi, storicamente inevitabile oggi, spinge il proletariato, che è stufo della propria schiavitù e reclama l’autogestione di tutto e di tutti, contro il sistema mercantile e i suoi servitori, borghesia e burocrazia tutte e due sotto lo stesso casco protettore dello Stato.

  4. La ricerca della felicità è la ricerca del vissuto autentico, non falsificato, non capovolto, non sacrificato. Accettarsi così come si è, nella propria specificità particolare, è una conquista che suppone la liquidazione del sistema mercantile e l’organizzazione collettiva armonizzata delle passioni individuali.

In sostanza, noi siamo stufi di una esistenza dominata dal contrario della ricerca della felicità individuale; dominata dai settori separati (economia, politica, cultura e tutti gli elementi dello spettacolo) che assorbono tutta la nostra energia e ci impediscono di vivere. Noi lottiamo per capovolgere il mondo capovolto, per la realizzazione dei desideri e delle passioni in relazioni sociali sbarazzate dagli imperativi della redditività e dei poteri gerarchizzati.

24. Considerate ridicola e odiosa una distinzione tra lavoratore immigrato e lavoratore autoctono?

In questo caso avete capito che:

  1. Il vecchio principio “i proletari non hanno patria” resta perfettamente vero, e bisogna ricordarlo ininterrottamente davanti a tutte le coglionate nazionaliste e razziste.

  2. Lo stesso, bisogna ricordare ininterrottamente che l’emancipazione del proletariato è un compito storico e internazionale. Solo la pratica degli operai rivoluzionari nel mondo intero creerà di fatto l’internazionale dei Consigli di autogestione generalizzata.

  3. La classe dirigente e i suoi servitori fanno di tutto per imporre una distinzione tra lavoratori immigrati e lavoratori autoctoni. A quest’ultimi, che essi disprezzano come oggetti che producono rendita, fanno credere che ne esistono ancora più disprezzabili.

  4. La partecipazione degli immigrati alle lotte più dure è anche una lotta contro la loro propria borghesia, che li vende nella migliore tradizione nella tratta degli schiavi. In questo senso anche essi formano con tutti gli altri operai rivoluzionari la base di una vera internazionale dell’autogestione generalizzata.

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui le differenze, siano esse di razza, di sesso, di età, di carattere, di passioni, di desideri non creeranno più barriere ma al contrario serviranno all’armonizzazione per il più grande sviluppo della felicità di tutti. Voi lottate per la realizzazione dell’autogestione individuale e collettiva su basi internazionali, liquidando i pregiudizi imbecilli dei nazionalismi, dei regionalismi, degli attaccamenti geografici.

25. Provate qualche volta il bisogno di parlare con qualcuno che vi comprenda e agisca nello stesso senso in cui voi agite (rifiuto del lavoro, degli obblighi, della merce e della verità delle menzogne che costituisce lo spettacolo)?

In questo caso avete capito che:

  1. L’abitudine di parlare per non dire nulla, di perdersi in falsi problemi, di prestare orecchio a quelli che parlano in un modo e agiscono in un altro, di lasciarsi andare all’usura delle coglionate quotidiane e del ripetitivo, è ancora un modo di impedire a ciascuno di riconoscere nelle sue passioni e nei suoi desideri di vita autentica (l’inverso dei desideri di appropriazione privata inventati dal commercio) i suoi veri interessi.

  2. Ogni intervento che non porta a misure pratiche è un inutile chiaccherio, un modo di annegare il pesce. Ogni misura pratica che non porta al miglioramento della vita di tutti non fa che rafforzare l’oppressione; e nulla può veramente migliorare la vita senza la distruzione del sistema mercantile.

  3. Ogni assemblea deve arrivare rapidamente ad una decisione o essere sabotata.

  4. Duranti gli scioperi o prima, la discussione deve avere come scopo la verità pratica: diffondere la coscienza della lotta intrapresa ed arrivare a delle certezze quanto alle azioni da intraprendere..

  5. Ciò che resta imprigionato nel linguaggio diventa presto ideologia, cioè menzogna, come tutto quello che raccontano i membri degli apparati burocratici (partiti, sindacati, gruppi specializzati nel miglioramento del bestiame operaio).

  6. Contro il linguaggio dominante e falso, la migliore garanzia delle assemblee di sciopero è di eleggere prestissimo un Consiglio di delegati incaricati solo di seguire le direttive degli scioperanti, sotto pena di immediata destituzione, e di tradurle in atti senza perdere tempo.

  7. Non vogliamo più né parlatori facili, né oratori con i loro effetti stilistici, ma il linguaggio degli atti, delle proposte concrete e dei piani d’azione bene elaborati da noi stessi. È tempo che gli sforzi della perfezione si portino non più sulle frasi ma sugli atti.

In sostanza, voi lottate di già, coscientemente o no, per una società in cui le parole non serviranno più a dissimulare ma a prolungare realmente i nostri desideri, a essere le fedeli portavoce di ciò che vogliamo.

Abcd della rivoluzione

  1. Lo scopo del sabotaggio e della riappropriazione, praticati individualmente o collettivamente, è lo scatenamento dello sciopero selvaggio.

  2. Ogni sciopero selvaggio deve diventare occupazione di fabbrica.

  3. Ogni fabbrica occupata deve essere espropriata e messa immediatamente al servizio dei rivoluzionari.

  4. Eleggendo i delegati – revocabili in qualsiasi momento, incaricati di registrare le sue decisioni e di farle applicare – l’assemblea degli scioperanti getta le basi di una organizzazione sociale radicalmente nuova: la società dell’autogestione generalizzata.

L’occupazione delle fabbriche

1. Ogni assemblea di scioperanti deve diventare assemblea di autogestione generalizzata. Per ciò basta:

  1. Eleggere i delegati, revocabili in ogni istante, mandatari per dare alle proprie decisioni forza di applicazione immediata.

  2. Assicurare la propria autodifesa.

  3. Estendersi all’insieme dei rivoluzionari ed organizzare la sua espansione geografica secondo scelte di espropriazione le più efficaci possibili (per esempio nelle regioni che possiedono sia risorse agricole che industrie prioritarie).

  4. Generalizzare l’autogestione assicurando, in modo irreversibile, il passaggio dalla sopravvivenza alla vita.

2. Ogni potere appartiene all’assemblea, per ciò che riguarda il potere che ciascuno vuole esercitare sulla propria vita quotidiana.


3. La migliore garanzia contro ogni forma di potere diverso, necessariamente oppressivo (come partiti, sindacati, organizzazioni gerarchiche, gruppuscoli intellettuali ed attivisti, tutti embrioni di Stato), è la costruzione immediata di condizioni di vita radicalmente nuove.


4. Solo le federazioni dei delegati riuniti in Consigli possono dissolvere lo Stato paralizzandolo. Solo la coordinazione delle lotte per l’autogestione generalizzata può liquidare il sistema mercantile.


5. Ogni discussione, ogni intervento deve arrivare ad una proposizione pratica. Un provvedimento preso dall’assemblea è immediatamente esecutivo.

Organizzare rapidamente l’autodifesa

6. L’autodifesa è il primo diritto dell’assemblea di autogestione generalizzata. Armare le masse, proteggere ed estendere la conquista del territorio creandosi le condizioni di un generale miglioramento della vita.


7. La rivoluzione non si pianifica e non si improvvisa, ma si prepara. È quindi indispensabile che le assemblee dispongano particolarmente delle seguenti informazioni:

  1. Le zone di approvvigionamento: situazione dei depositi, degli stock, dei supermercati, delle reti di distribuzione. Dislocazione delle fabbriche presunte prioritarie e che converrà automatizzare al più presto; dislocazione delle fabbriche considerate trasformabili e da trasformare; dislocazione dei settori considerati parassitari e da sopprimere. Ripartizione delle zone agricole.

  2. Le zone nemiche: situazione delle caserme, commissariati, arsenali, depositi di armi. Domicilio e itinerario dei capi la cui neutralizzazione disorganizzerà le forze statali.

  3. Le zone di comunicazione e di legame: dislocazione dei depositi di camion, autobus, treni, aerei, garage, depositi di benzina... Dislocazione dei centri di telecomunicazione: radio locali, tipografie, telex, litografie...

  4. Le zone di sopravvivenza: acqua, elettricità, ospedali, centri di cura, fabbriche del gas...


8. Dal momento che una regione è occupata dai rivoluzionari, essa deve essere espropriata secondo due princìpi indiscutibili: autodifesa e distribuzione gratuita dei beni di produzione.


9. Il modo migliore di evitare l’isolamento è l’attacco. Bisogna quindi:

  1. Creare, in una prospettiva internazionalista, altri fuochi di occupazione e di esproprio.

  2. Rafforzare e proteggere i legami tra le zone rivoluzionarie.

  3. Isolare il nemico e distruggere i suoi legami, ricorrere ai gruppi di intervento rapido per attaccare le sue retroguardie ed evitare le sue manovre di accerchiamento e di spezzettatura.

  4. Disorganizzare la controrivoluzione mettendo in grado di non nuocere i suoi capi principali e i suoi migliori strateghi.

  5. Servirsi delle tipografie, delle radio locali, delle telecomunicazioni per diffondere la verità sul movimento di autogestione generalizzata e spiegare ciò che vogliamo fare e ciò che possiamo. Fare in modo che le masse, in ogni quartiere, in ogni città e villaggio, siano al corrente di ciò che accade nel resto del Paese. Coordinare le lotte nella strada e le lotte nelle città e nelle campagne.


10. Si eviteranno le tattiche antiche, passive e statiche, come le barricate, manifestazioni di massa, lotte di tipo studentesco. È estremamente importante inventare e sperimentare tattiche nuove e inattese.


11. Il successo di una guerriglia urbana che interviene in appoggio alle fabbriche occupate, risiede nella rapidità e nell’efficacia degli attacchi, da qui l’importanza dei piccoli gruppi d’intervento che riuniscano quelli che gli statisti di tutti i colori chiamano di già “i teppisti del quartiere” e i “teppisti della fabbrica”.


12. Il nostro obiettivo è di impedire ogni violenza contro il movimento d’autogestione generalizzata, non di diffonderlo con la violenza. Il disarmo del nemico ci interessa di più della sua liquidazione fisica. Più la nostra azione sarà risoluta e rapida, meno sangue scorrerà.


13. Il raggruppamento di una parte della gente inizialmente ostile all’autogestione generalizzata è la pietra di paragone che permetterà di giudicare la riuscita delle prime misure adottate e della loro validità per noi.


14. Nondimeno, bisogna fare i conti con le condizioni della gerarchia che le abitudini di schiavitù, il disprezzo di se stessi, l’ancoraggio all’inibizione e il gusto del sacrificio spingono alla propria distruzione e alla distruzione di tutti i progressi della libertà concreta. Ecco perché è utile neutralizzare fin dall’inizio dell’azione rivoluzionaria i nemici dell’interno (capi sindacali, uomini di partito, operaisti, crumiri) e i nemici dell’esterno (padroni, quadri, poliziotti, esercito).


15. In caso di isolamento o di recesso dell’insurrezione, l’autodifesa deve analizzare le diverse forme possibili di ripiego. Queste forme variano secondo il grado della lotta impegnata, la natura degli errori commessi (per esempio l’incoerenza interna del movimento), la violenza dei mezzi posti in opera dal nemico, la repressione prevedibile, ecc.


16. Non bisogna aver paura di uno scacco, ma si deve tentare l’impossibile e il possibile per prevederlo, evitarlo e parare la repressione. “Non è un rivoluzionario ma un individuo che non si è ancora liberato dall’intellettualismo e che oggettivamente si gira verso la controrivoluzione colui che non ammette la rivoluzione proletaria che a condizione che si compia facilmente e senza urti, si assicuri immediatamente il concorso del proletario mondiale ed elimini fin dall’inizio l’eventualità delle sconfitte”.


17. I massacri della Comune di Parigi e di Budapest ci hanno insegnato che la repressione è sempre spietata e che la pace dei cimiteri è l’unica promessa che le forze dell’ordine statale mantengono. Ad un livello dello scontro in cui la repressione non risparmia nessuno, non risparmiamo nemmeno noi nessuno di questi vigliacchi che non attendono altro che la nostra sconfitta per trasformarsi in carnefici. Bruciamo i quartieri residenziali, uccidiamo gli ostaggi, roviniamo l’economia allo scopo che non esista più nulla di quello che ci impedisce di essere tutto.


18. Sapendo quello che ci attende in caso di sconfitta e risoluti, una volta assicurata la vittoria, a non inveire sugli antichi nemici, siamo pronti ad impiegare ogni forma di dissuasione nel corso della lotta, e particolarmente la distruzione delle macchine, degli stock e degli ostaggi, allo scopo di ottenere la messa in pensione e il disarmo delle forze statali. Ad un livello meno duro dello scontro, è utile tagliare l’acqua, il gas, l’elettricità, il combustibile nei quartieri borghesi e dirigenziali, rovesciare la spazzatura, sabotare gli ascensori dei grattaceli, ecc.


19. La voce delle masse si fa sentire bene solo tra il fracasso delle armi. L’inventiva di ciascuno creerà armi insolite ed efficaci per i gruppi di autodifesa. Alle piccole cose fatte in casa succederà al più presto la riconversione delle macchine che si trovano nelle fabbriche secondo un programma di armamento rapido definito dalle assemblee d’autogestione generalizzata.


20. Tra le armi di immediato intervento, è utile prevedere i tubi trasformati in tubi lancia-razzi (sperimentati nel Venezuela negli anni Sessanta), i razzi suolo-aria (realizzati artigianalmente nei laboratori scientifici da giovani studenti), le catapulte per lanciare granate e bombe molotov, i lanciafiamme, i mortai, gli apparecchi ad ultrasuono, i laser... Bisognerà studiare anche le diverse forme per blindare i camion e i bulldozer riconvertiti, i giubbotti antiproiettili, le maschere a gas, i prodotti neutralizzanti gli effetti dei gas paralizzanti, l’impiego dell’LSD nell’acqua del nemico, ecc.


21. Studiare le armi anti-elicottero: mortai per spezzoni, fucili suolo-aria, cannoni leggeri teleguidati, laser, tiratori scelti, pietre per impedire l’atterraggio...


22. Preparare la difesa contro i carriarmati: depositi anti-carro, razzi teleguidati, mine anticarro, getti di napalm...


23. Tenere i tetti e le cantine, creare passaggi da un immobile ad un altro allo scopo di permettere lo spostamento rapido e sicuro dei gruppi di autodifesa.


24. Ricorrere all’astuzia e alle armi teleguidate allo scopo di esporre il minor numero di compagni al pericolo.

Sollecitare il passaggio dalle condizioni di sopravvivenza alle condizioni di vita

25. Vinceremo sicuramente se saremo capaci di concretizzare per tutti il passaggio dalla sopravvivenza alla vita. Ciò non significa che riusciremo ad abbattere il sistema mercantile fin dal primo momento dello scontro. Ciò significa solo che le prime misure adottate ed applicate dalle assemblee di autogestione devono rendere doppiamente impossibile ogni ritorno indietro: distruggendo le antiche condizioni e creando vantaggi tali che nessuno sarà disponibile a farsene privare.


26. I primi vantaggi dell’autogestione generalizzata realizzeranno:

  1. La fine del sistema degli scambi e del salariato attraverso la distribuzione gratuita dei beni necessari alla vita di tutti.

  2. La fine del lavoro forzato col passaggio delle forze produttive sotto il controllo diretto delle assemblee d’autogestione, e con il libero sviluppo della creatività individuale e collettiva.

  3. La fine della noia, delle inibizioni, degli obblighi attraverso l’organizzazione delle condizioni sociali appassionanti, attraverso l’autonomia che permette ad ogni individuo di realizzarsi disponendo dell’aiuto di tutti, attraverso il riconoscimento, l’emancipazione, la moltiplicazione e l’armonizzazione delle passioni che oggi sono impoverite, sacrificate, ingoiate, falsificate e spesso dirette verso la distruzione.

In questo modo la storia registrerà, definitivamente e simultaneamente, in negativo l’annientamento del sistema mercantile e in positivo la costruzione di una società radicalmente nuova, già presente nel cuore di ciascuno.


27. Fin dall’inizio del movimento, si tratta di impedire ogni ritorno indietro, di bruciare dietro di noi i vascelli del vecchio mondo, aiutando la sparizione delle banche, delle prigioni, dei manicomi, dei tribunali, dei palazzi amministrativi, delle caserme, dei commissariati, delle chiese, dei simboli oppressivi. Come pure gli incartamenti, gli schedari, le carte d’identità, le cambiali e gli impegni di pagamento, le cartelle delle imposte ed ogni altro pezzo di carta di tipo finanziario. Distruzione anche delle riserve d’oro tramite l’acqua ragia (miscela di acido nitrico ed acido cloridrico).


28. Fin quando possibile distruggere le strutture della merce piuttosto che le persone, e non liquidare che quelli che sperano di ricondurci al regime di sfruttamento, di servitù, di spettacolo e di noia.


29. La fine della merce significa la nascita del dono in tutte le sue forme. Le assemblee di autogestione generalizzata organizzeranno dunque la produzione e la distribuzione dei beni prioritari. Esse registreranno le offerte di creazione e di produzione da un lato, le domande individuali dall’altro. Dai prospetti aggiornati ciascuno potrà prendere conoscenza degli stock disponibili, del numero e della ripartizione delle richieste, della localizzazione e del movimento delle forze produttive.


30. Le fabbriche saranno riconvertite ed automatizzate o, nel caso di settori parassitari, distrutte. Un poco dovunque officine di libera creazione saranno messe a disposizione di tutti i talenti.


31. Le costruzioni inutili (uffici, scuole, caserme, chiese...) saranno, su decisione delle assemblee di autogestione generalizzata, distrutti o preferibilmente trasformati in: granai collettivi, depositi, alloggi di passaggio, labirinti e terreni di gioco.


32. Trasformare i supermercati e i grandi magazzini in centri di distribuzione gratuita, esaminando l’opportunità di moltiplicare per regione i piccoli centri di distribuzione (riconversione dei piccoli magazzini e dei bar per esempio).


33. I bisogni cambieranno una volta modificata la dittatura mercantile che li ha falsificati senza tregua. Così le auto diventeranno in massima parte inutili dal momento che lo spazio e il tempo apparterranno a tutti e che sarà possibile spostarsi liberamente e senza limiti di orario. Bisogna dunque non solo prevedere l’apparizione di domande radicalmente nuove, di fantasie individuali, di passioni insolite, ma anche fare tutto il possibile per soddisfarle, per cui il solo ostacolo alla loro realizzazione sia la mancanza momentanea di equipaggiamento materiale e non un difetto dell’organizzazione sociale.


34. Il progetto di abolire la distinzione tra città e campagne esige la decentralizzazione dell’abitato (diritto di nomadismo, diritto di costruire la propria casa su un terreno disponibile), la distruzione delle industrie nocive e inquinanti, la creazione nelle città di zone di cultura e istruzione (sugli Champs-Elysées per esempio).


35. Nel momento insurrezionale, ogni professione ha l’occasione per negarsi in quanto lavoro forzato. La piccola scintilla passionale che permette di sopportare la dura alienazione del mestiere esercitato per sopravvivere, si allarga a vocazioni nuove e libere. Chi ama insegnare darà i suoi corsi nella strada; chi ama cucinare disporrà le sue cucine portatili dappertutto rivalizzando in qualità. Così ogni disposizione creativa darà vita ad un artigianato libero e a una profusione di rarità.


36. Ciascuno ha il diritto di fare conoscere le proprie critiche, le proprie rivendicazioni, le proprie opinioni, creazioni, desideri, analisi, fantasie, problemi... allo scopo che la più grande varietà possa determinare le migliori possibilità di scontro, di accordi, di armonizzazione. Le tipografie, litografie, telex, radio, televisioni passeranno nelle mani delle assemblee e saranno messe, a questo scopo, a disposizione di ogni individuo.


37. Nessuno si batterà senza riserve se non apprenderà dapprima a vivere senza tempi morti.

Ogni sciopero deve diventare sciopero selvaggio

38. Il vero senso di uno sciopero, è il rifiuto del lavoro alienato e della merce che questo produce e che lo produce.


39. Lo sciopero prende il proprio vero significato solo diventando sciopero selvaggio, cioè sbarazzandosi di ciò che ostacola l’autonomia degli operai rivoluzionari: partiti, sindacati, padroni, capi, burocrati, candidati burocrati, crumiri, lavoratori con la mentalità di poliziotto e di schiavo.


40. Tutti i pretesti sono buoni per scatenare uno sciopero selvaggio, perché non c’è nulla che giustifichi l’abbrutimento del lavoro forzato e la disumanità del sistema mercantile.


41. Gli operai rivoluzionari non hanno bisogno di agitatori. È soltanto da loro che parte il movimento di agitazione generale.


42. Nello sciopero selvaggio, gli scioperanti devono esercitare il potere assoluto, ad esclusione di ogni altro potere esterno ad essi.


43. Il solo modo di tenere in scacco le organizzazioni esterne – tutte recuperatrici – è di dare ogni potere all’assemblea degli scioperanti e di eleggere delegati con l’incarico di coordinare le decisioni e farle applicare.


44. Per quanto possa essere limitato, uno sciopero selvaggio deve cercare di fare il possibile per ottenere il sostegno del maggior numero di persone. Per esempio abituando la gente ad avere le cose gratuitamente: sciopero delle cassiere dei supermercati che consente la distribuzione gratuita dei beni esposti e immagazzinati; distribuzione da parte degli operai di una fabbrica dei prodotti da loro costruiti o prelevati dal magazzino in cui si trovavano depositati.

Ogni sciopero selvaggio deve diventare occupazione di fabbrica, ogni occupazione di fabbrica deve potersi sviluppare in un esproprio immediato

45. L’occupazione di una fabbrica traduce la volontà degli operai rivoluzionari di essere padroni dello spazio e del tempo occupati fino a quel momento dalla merce. Se essi non espropriano la fabbrica, ciò significa che rinunciano alla creatività che vogliono esercitare e ai loro diritti assolutamente indiscutibili.


46. Una fabbrica occupata e non espropriata apporta allo spettacolo dell’impotenza a rompere il sistema mercantile l’argomento definitivo di cui hanno bisogno gli apparati burocratici, i manipolatori ideologici e tutti quelli che dimenticano che la ricchezza delle possibilità tecniche, oggi a nostra portata, rende ridicola l’accusa di utopia.


47. Una fabbrica occupata deve essere subito espropriata a favore dell’autodifesa (fabbricazione di armi e di protezioni di acciaio) e della distribuzione gratuita di tutto quello che vi si fabbrica di utile.


48. Per uscire dall’isolamento i rivoluzionari possono contare solo sulla propria creatività. È importante particolarmente:

  1. Prevedere le forme di appoggio tattico degli altri lavoratori fuori della fabbrica: per esempio, gli stampatori possono intervenire nei giornali che fanno uscire per dare informazioni esatte e diffondere il programma degli operai in sciopero; gli studenti medi possono impadronirsi delle scuole, formare legami col resto del Paese, attaccare le forze dell’ordine alle spalle; gli abitanti di una regione possono neutralizzare le forze della repressione e formare con gli operai scioperanti delle assemblee di autogestione generalizzata; i soldati possono impadronirsi delle caserme e prendere in ostaggio i loro capi; gli avvocati possono prendere i giudici in ostaggio e consegnarli agli scioperanti... Nel momento rivoluzionario, non esiste funzione che non possa distruggersi dirigendosi verso la sovversione.

  2. Internazionalizzare il conflitto, diffondere gli scioperi selvaggi tra divisioni di uno stesso complesso industriale distanti geograficamente, tra società connesse o complementari di un Paese o di un altro, tra una fabbrica e le sue fonti di approvvigionamento. Non solo l’esproprio di una regione economicamente agibile abbatte le frontiere, i regionalismi, il nazionalismo, ma è la base sulla quale si costruirà non più una internazionale politica ma al contrario una internazionale della pratica rivoluzionaria.

  3. Dare la sua piena coerenza alla guerriglia di autodifesa; lanciare attacchi di gruppi armati contro le caserme, gli arsenali, la radio solo per appoggiare e sviluppare il movimento operaio rivoluzionario, e non separatamente come nel caso del terrorismo, del blanquismo o dell’attivismo di sinistra; ricorrere agli attentati solo dopo un attento esame ed una scelta accurata (capi controrivoluzionari che devono essere messi in grado di non nuocere, nidi di poliziotti da neutralizzare...) e mai in modo avventato (bombe nelle stazioni, nelle banche, nei luoghi pubblici).


49. Agli ostaggi viventi, come padroni, ministri, vescovi, banchieri, generali, alti funzionari, prefetti, capi della polizia, bisogna preferire ostaggi materiali: stock, prototipi, riserve di oro e di argento, macchine molto costose, apparecchi elettronici, forniture sofisticate, ecc.


50. Bisogna sapere coordinare i mezzi di pressione e di dissuasione con la natura delle rivendicazioni. Per esempio, è assurdo, come hanno fatto gli operai della fabbrica Salée a Liège (settembre 1973) minacciare di fare saltare la fabbrica per ottenere un’intervista con i parlamentari. Ricorrere a mezzi estremi significa impegnarsi a porre in atto provvedimenti radicali (per esempio la liquidazione del nemico statale, disarmo delle forze repressive, evacuazione di una città o di una regione dei poliziotti presenti e dell’esercito).


51. Rischiare solo quando ne vale la pena. Se si è isolati, meglio abbandonare prevedendo la possibilità di altri tentativi, evitando la repressione essendo a vantaggio dei rivoluzionari ogni momentaneo ripiego.


52. In caso di minaccia repressiva, distruggere i luoghi e gli ostaggi. Ciò che non può essere espropriato a favore di tutti può essere distrutto; in caso di vittoria, ricostruiremo, in caso di sconfitta, accelereremo la rovina della merce.


53. Bisogna rinunciare una volta per tutte alle manifestazioni di massa e agli scontri di tipo studentesco (pavés, bastoni, barricate). Per proteggere la merce i poliziotti non esiteranno a sparare. I gruppi armati devono cercare di arrivare al più presto al disarmo e alla neutralizzazione degli statalisti.


54. Non fidarsi mai degli ostaggi, non accettare tregue, estendere il movimento il più rapidamente possibile e non dimenticare la ferocia delle repressioni borghese e burocratica.

L’esercizio individuale del sabotaggio e dell’esproprio è efficace quando si conclude con lo scatenarsi dello sciopero selvaggio

55. Ogni operaio ha il diritto di espropriare a proprio vantaggio i prodotti e le tecniche impiegate fino ad oggi contro di lui.


56. Ogni operaio ha il diritto di sabotare tutto ciò che serve a distruggerlo.


57. II sabotaggio e l’esproprio sono gesti spontanei molto diffusi nell’ambiente operaio. Basta diffonderne dappertutto la coscienza e ribadirne l’utilità per moltiplicarli, perfezionarli e dar loro maggiore coerenza.


58. Nel 1972, un rapporto presentato dai funzionari del Commissariato per la protezione dello Stato e per il rispetto della costituzione, e dai responsabili della sicurezza nell’industria nella Repubblica Federale Tedesca, ha rilevato i seguenti atti di sabotaggio economico:

  • In una fabbrica di pneumatici, le soluzioni necessarie alla fabbricazione di quest’ultimi erano state a più riprese sporcate con diverse sostanze.

  • Nei pressi di una acciaieria, due uomini hanno tagliato i condotti del gas, provocando il raffreddamento di un altoforno e, con ciò, perdite di produzione per diversi milioni di marchi.

  • Una ditta fabbricante di schermi televisivi dovette far fronte a numerosi reclami prima di rendersi conto che il vetro era stato sporcato con l’aggiunta di prodotti chimici.

  • Una cava contenente macchine di valore venne inondata a causa del taglio di una condotta d’acqua.

  • Sconosciuti rubarono le schede perforate dei calcolatori in un grosso deposito, impedendo così il lavoro per quattro giorni.

Questi esempi, pubblicati da una rivista tedesca, danno un’idea della creatività individuale applicata al sabotaggio.


59. II sabotaggio è più appassionante degli hobby che si fanno a casa, del giardinaggio o del totocalcio. Preparato accuratamente, può arrivare al punto di scatenare lo sciopero selvaggio, l’occupazione, l’esproprio della fabbrica a favore di tutti, e mette in moto anche il controllo di ciascuno sulla propria vita quotidiana. Vecchia tradizione operaia, consente, qui, di distendere i nervi ottenendo una piccola vendetta, guadagnare un poco di riposo aspettando le riparazioni. Fino ad oggi, ha raramente superato lo stadio dell’improvvisazione. Tutti sanno che:

  • Un martello o una sbarra di ferro bastano per distruggere un calcolatore, un prototipo, materiale di precisione, macchine di controllo, robot che impongono i ritmi di produzione.

  • Una sorgente di calore avvicinata ad un interruttore automatico, libera l’acqua delle pompe antincendio fissate nel soffitto dei grandi magazzini o nelle zone di immagazzinamento.

  • Un poco di limatura di ferro nel carburatore, zucchero nel serbatoio, ammoniaca nel carter mettono fuori uso la macchina di un poliziotto, del padrone, di un crumiro, di un capo sindacale.

  • La diffusione dei numeri di telefono dei capi e del numero di targa della loro automobile, possono servire come arma di dissuasione e di demoralizzazione.

Ma noi cominciamo veramente ad uscire dal periodo dell’improvvisazione.


60. Più il sistema mercantile si complica, più i mezzi semplici bastano a distruggerlo.


61. Il terrorismo è il recupero del sabotaggio, la sua ideologia, la sua immagine separata. Mentre è utile, all’inizio degli scioperi selvaggi distruggere le casse dei supermercati, dare i soldi al personale in sciopero, organizzare una distribuzione selvaggia dei prodotti e spiegare ciò che sarà l’autogestione generalizzata; è assurdo scatenare la stessa operazione senza un legame con il movimento di esproprio delle fabbriche.


62. La positività del sabotaggio è data dal fatto che abitua a conoscere meglio gli errori che i padroni commettono nella produzione a causa della loro corsa al profitto, e rende possibile aggravare questi errori, correggendoli al momento dell’esproprio della fabbrica. L’esperienza della LIP – inizialmente recuperata perché non riuscì a rompere definitivamente col sistema mercantile – ha almeno sottolineato l’evidenza che solo gli operai sono armati per cambiare definitivamente il mondo. Nello stato attuale delle forze produttive noi possiamo tutto e nulla può opporcisi durevolmente se ne prendiamo coscienza.


63. Sottoposti a tutte le alienazioni, gli operai hanno sul resto del proletario il vantaggio di avere tra le mani la causa di tutte le alienazioni: il processo mercantile. Poiché essi hanno solo il potere di distruggere la totalità di ciò che li distrugge, detengono anche la soluzione globale ai problemi di armonizzazione, di esproprio dell’economia e di organizzazione di nuovi rapporti umani fondati sulla gratuità.


64. Il sabotaggio è per eccellenza l’anti-lavoro, l’anti-militarismo, l’anti-sacrificio. Ognuno lo prepara ricercando nello stesso tempo il proprio piacere, l’interesse di tutti, un rischio calcolato, la facilità dell’esecuzione, l’occasione favorevole. Esso abitua all’autonomia e alla creatività, e serve di base concreta alle relazioni che i rivoluzionari vogliono stabilire tra di loro. È il gioco sovversivo con cui si rompe il recupero burocratico. Ecco la descrizione di ciò che è accaduto in un’industria di automobili nel 1968, nei pressi di Detroit:

“Si cominciarono ad avere, in alcuni settori della fabbrica, atti di sabotaggio organizzato. All’inizio, si trattava di errori di assemblaggio o anche omissioni di pezzi in quantità maggiore del normale, per cui diversi motori venivano rinviati indietro alla prima ispezione. L’organizzazione dell’azione determinò una serie di accordi tra i verificatori e qualche sezione di assemblaggio, con sentimenti e motivazioni mescolati – alcuni operai erano ben determinati, altri erano seccati contro i ritmi e partecipavano per una specie di vendetta. Tutto ciò sempre in un ambiente molto entusiasta... In sede di verifica e di saggio, nel caso in cui il motore era passato senza difetti di fabbricazione, un buon colpo di chiave inglese sul filtro dell’olio, su una biella o sul distributore, sistemava tutte le cose. Qualche volta i motori venivano rinviati indietro perché non erano sufficientemente silenziosi... I progetti concepiti nel corso di queste riunioni condussero finalmente al sabotaggio in tutta la fabbrica dei motori V-8. Come i sei cilindri, i V-8 venivano assemblati in modo difettoso o danneggiati nel corso della produzione allo scopo che fossero rinviati indietro. Inoltre, i verificatori si misero d’accordo per rinviare qualsiasi cosa, come tre motori su quattro o su cinque... Senza che i ragazzi confessassero di sabotare i motori, il capo fu obbligato a gettarsi in una tortuosa spiegazione, cercando di far loro capire che non dovevano rinviare i motori indietro se non nel caso che con tutta evidenza questi fossero di cattiva qualità. Tutto fu vano perché i ragazzi andarono avanti: essi dichiararono che il loro interesse e quello della ditta era di assicurare una produzione di prima qualità... Un programma di sabotaggio rotativo venne elaborato a livello di tutta la fabbrica, durante l’estate per avere del tempo libero. Nel corso di una riunione, gli operai presero ciascuno dei numeri, da 1 a 50. Riunioni del genere si ebbero in altre parti della fabbrica. Ogni operaio era responsabile di un certo periodo di tempo, circa 20 minuti durante due settimane, in questo periodo doveva fare qualche cosa per sabotare la produzione in modo tanto grave da arrestare la catena. Quando il capo inviava qualcuno per riparare il “guasto” la stessa cosa ricominciava in un altro reparto chiave. In questo modo l’intera fabbrica si riposava dai 5 ai 20 minuti ogni ora per un buon numero di settimane, a causa sia dell’arresto della catena, sia dell’assenza di motori sulla catena stessa. Le tecniche impiegate per il sabotaggio sono numerose e varie e ignoro quelle che furono impiegate nella maggior parte dei reparti... Ciò che è notevole in tutto ciò, è il livello della cooperazione e dell’organizzazione degli operai all’interno di uno stesso reparto ed anche tra reparti diversi. Pur essendo una reazione al bisogno di azione comune, questa organizzazione è anche un mezzo di fare funzionare il sabotaggio, di fare delle collette, o anche di organizzare dei giochi e delle competizioni che servono a trasformare la giornata di lavoro in una piacevole attività. Ciò accadde nel reparto verifica dei motori... I controllori, sul banco di verifica dei motori, organizzarono un concorso con le bielle basato su dei posti di osservazione collocati all’entrata del reparto e su degli accordi presi con gli operai della catena di montaggio dei motori, per esempio perché questi non fissino interamente le bielle di certi motori presi a caso. Quando un verificatore sentiva delle vibrazioni dubbie, gridava a tutti di fermare il reparto e gli operai abbandonavano subito il loro lavoro per nascondersi dietro le casse e gli scaffali. Poi egli lanciava il motore a 4 o 5.000 giri. Questo faceva ogni sorta di rumore di ferraglia per fermarsi finalmente con un gran rumore secco, quando la biella ballerina spaccando il carter veniva lanciata dall’altro lato del reparto. I ragazzi uscivano allora dai ripari e segnavano il punto in cui la biella era andata a finire, segnando dei punti a favore del verificatore. Questa competizione durò per diversi mesi, con lo scoppio di più di 150 motori... Un altro caso cominciò con due ragazzi che si fecero una doccia, in un giorno di caldo, con i getti d’acqua utilizzati nel reparto verifiche. Ciò sviluppò una battaglia con le pompe in tutto il reparto per diversi giorni. La maggior parte dei motori erano ignorati, oppure semplicemente approvati velocemente per essere liberi per la battaglia, oppure qualche volta i motori erano distrutti o gravemente danneggiati per sbarazzarsene velocemente. Vi erano tra 10 e 15 getti d’acqua in azione nella battaglia, con la pressione simile a quella delle pompe d’incendio. I getti d’acqua andavano dappertutto, i ragazzi ridevano, gridavano e correvano in tutti i sensi: in questa atmosfera erano in pochi quelli che avevano animo di continuare a fare il proprio lavoro. Il reparto era regolarmente inondato fino al soffitto e tutti i ragazzi completamente inzuppati. Ben presto essi portarono delle pistole ad acqua, secchi e tubi per innaffiare, e il gioco prese le proporzioni di una enorme fiera per delle ore. Un ragazzo prese a passeggiare con il costume da bagno di sua moglie, con gran divertimento per il resto della fabbrica che non era al corrente di ciò che accadeva nel reparto verifiche...” (“Lordstown 72”, opuscolo pubblicato da “4 millions de Jeunes Travailleurs”).


65. Il problema dell’organizzazione è un problema astratto se non risponde alla domanda: “chi organizza e perché?”. Le organizzazioni costituite al di fuori degli operai sono finite, nel migliore dei casi, nell’impotenza pratica, e la maggior parte del tempo nel rinnovo degli apparati burocratici. Le organizzazioni costituite in nome degli operai hanno, nel migliore dei casi, creato condizioni di burocratizzazione, e la maggior parte del tempo sono diventate strumenti di oppressione parastatali. La sola forma d’organizzazione realmente operaia e rivoluzionaria, è l’assemblea degli scioperanti selvaggi che diventa assemblea di autogestione generalizzata. Ciò che la prepara non sono le altre organizzazioni, necessariamente ibride e separate, ma l’azione rivoluzionaria per la quale non c’e bisogno che dei gruppi d’intervento che si formano per una azione precisa e si dissolvono quando una pratica prevista non è più possibile.


66. I gruppi transitori, formati per quanto dura un’azione precisa e lo sfruttamento dei suoi effetti, staranno attenti di fronte ad ogni sacrificio, di fronte ad ogni militarismo, conservando l’autonomia individuale. La sola disciplina sarà quella adottata dopo discussioni e regolata sulle necessità dell’azione e della protezione contro ogni rischio repressivo.


67. Ogni rivoluzionario ha il diritto di agire solo, in gruppi d’intervento transitori, ma che stia attento a non agire separatamente, cioè perdendo di vista la linea tattica che va dagli atti di sabotaggio e di esproprio allo sciopero selvaggio, e dallo sciopero selvaggio all’occupazione e all’esproprio collettivo delle fabbriche. La nostra rivoluzione è una rivoluzione totale e unitaria. Ciò significa, per esempio, che il sabotaggio non si limita all’anti-lavoro ma che affronta globalmente la merce, liquidando le attitudini autoritarie, i tabù (incesto, repressione sessuale), i comportamenti appropriativi (gelosia, avarizia), le menzogne della rappresentazione, ecc.; che esso incoraggia dappertutto la libertà e il rafforzamento delle passioni, l’armonizzazione dei desideri e delle volontà individuali...


68. Solo i gruppi di autodifesa, formati sul progetto di un’azione precisa e che scompaiano una volta raggiunto lo scopo ed assicurata l’incolumità, possono preparare in modo coerente l’apparizione delle condizioni favorevoli allo stabilimento di assemblee di autogestione generalizzata.


69. Gli operai anti-lavoro, anti-partiti, anti-sindacati, anti-merce, anti-sacrificio, anti-gerarchia formeranno i gruppi occasionali di autodifesa. I “teppisti della fabbrica” come li chiama il fronte degli statalisti (dai fascisti ai maoisti) formeranno la base del movimento senza la quale l’azione dei “teppisti dei quartieri” cade nel terrorismo, e da cui nasceranno necessariamente le assemblee di autogestione generalizzata.


70. La migliore garanzia di sicurezza di cui può circondarsi un gruppo di sabotaggio e di esproprio, è lo scatenamento di un movimento collettivo di entusiasmo rivoluzionario nell’insieme degli operai e della popolazione. Il migliore anonimato è l’adesione. del più gran numero di persone.


71. L’assenza di decisioni prese gerarchicamente limita i rischi di manipolazione poliziesca o di macchinazione burocratica. Ogni gruppo provvisorio di intervento ha però interesse a:

  1. Costituirsi tra gente che si conosce bene.

  2. Tenere conto delle capacità e delle debolezze di ciascuno, e coordinarle all’azione.

  3. Prevedere la sconfitta del piano per tradimento o vigliaccheria, e preparare le diverse risposte possibili cercando di evitare ogni repressione generale (per esempio prendendo ostaggi e realizzando lo sterminio degli sterminatori probabili e dei loro complici, ecc.), lanciando una seconda ondata di azioni che corregga la prima, traendo una lezione dalla sconfitta e trasformando praticamente la propria sconfitta in quella degli statalisti.


72. In linea generale un’azione sovversiva, lanciata da un gruppo guerrigliero contro il sistema dominante, deve rispondere almeno a quattro preoccupazioni:

  1. Sperimentare la creatività e l’autonomia individuali affinando le relazioni di accordo e di disaccordo tra i partecipanti.

  2. Studiare le modalità della repressione probabile e il modo di rispondere prestissimo tirando il maggior profitto possibile per il più gran numero di persone.

  3. Portare la lotta su tutti gli aspetti della vita quotidiana, che è il luogo reale in cui si registrano i progressi e le mancanze della lunga rivoluzione.

  4. Tenere conto del godimento reale e della qualità della vita per tutti gli operai di una fabbrica, per tutto un quartiere, per il proletariato.


73. Il criterio di riuscita si misura attraverso la rapidità del passaggio dal sabotaggio e dall’esproprio individuali allo sciopero selvaggio e all’esproprio collettivo. È la sola pratica che annuncia il progetto di autogestione generalizzata.


74. La base dell’autogestione generalizzata non è l’individuo ma l’individuo rivoluzionario, non obbediente che ad un impegno momentaneo su di un oggetto particolare e a suo proprio piacere spinto fino alla coerenza globale, senza infeudarsi ad alcun feticismo organizzativo.


75. Un atto di sabotaggio o di esproprio, che sia individuale o collettivo, non si improvvisa ma si prepara come un’operazione di disturbo. Calcolare il momento opportuno, il rapporto delle forze impegnate da una parte e dall’altra, la disposizione dei luoghi, le defezioni e gli errori possibili e tutta la gamma della loro correzione, le possibilità di ritirata, i rischi. Legare l’azione ad una strategia globale il cui centro sia sempre la costruzione dell’autogestione generalizzata.


76. È bene organizzare la diffusione di informazioni nelle fabbriche, nelle caserme, negli edifici di telecomunicazione... allo scopo che i piani, i metodi di sabotaggio, i modi di funzionamento siano tra le mani della maggior parte degli spiriti creativi.


77. È bene che testi come questo vengano discussi, criticati, corretti, ma non nell’astratto. Solo la pratica porta in se stessa la critica reale del progetto rivoluzionario.


78. Allo stesso modo, la maniera migliore di finirla con le ideologie e i loro eserciti burocratici, è di lottare con la più grande coerenza e la più grande precisione per l’autogestione generalizzata. Dal momento in cui gli scioperi selvaggi permetteranno di formare le assemblee di autogestione, con i loro delegati eletti, responsabili e revocabili; dal momento in cui sarà applicata la gratuità dei beni, gli ideologi vedranno la critica in armi dirigersi contro i loro punti di vista statalisti e burocratici e denunciare definitivamente le menzogne dietro le quali essi si dissimulano


79. L’evidenza teorica secondo la quale “il diritto di vivere appassionatamente passa attraverso la liquidazione totale del sistema spettacolare-mercantile” deve raggiungere una coerenza pratica che va dal progetto strategico globale ai minimi dettagli della lotta tattica. È per questo che non è inutile che ognuno rediga e diffonda le proprie ricette del gioco sovversivo – per esempio che è possibile fare sloggiare qualsiasi nemico da un locale gettando, legate insieme, una bottiglia di candegina (ipoclorito di sodio) con una bottiglia di prodotto per sturare i lavandini (idrato di sodio); che un’ora prima di essere sottoposti ad un lancio di bombe lacrimogene bisogna prendere delle compresse antistaminiche, ecc. – Bisogna comunque diffidare dalle false indicazioni fornite dagli stessi poliziotti.


80. La lotta per la distruzione radicale della merce è inseparabile della costruzione quotidiana di una vita appassionante, liberata dai tabù e dagli obblighi. Ogni progetto rivoluzionario si fonda necessariamente sulla ricerca di un arricchimento passionale, su un calcolo e un gioco di rischio e di piacere (rischio minimo, piacere massimo).

 
 

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