Titolo: L’esplosione
Sottotitolo: e altri scritti
Autore: Varlet, Jean
Data: 1794
Note: Testi originali: L’Apôtre de la liberté, prisonnier, à ses concitoyens libres, Paris 1793
L’Explosion, Paris 1794 Du Plessis, 1794
Traduzioni, note e nota biografica di Natale Musarra
Prima edizione italiana: luglio 1989
Seconda edizione: novembre 2013
Opuscoli provvisori n. 39
SKU: opuscoli-000039
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Nota introduttiva alla seconda edizione

L’esempio forse più clamoroso ed estremo delle tesi sostenute dalla corrente degli “arrabbiati” o, come furono definiti dal girondino Brissot, degli “anarchici” all’interno della rivoluzione francese. Contrario alla dittatura e al “terrore”, Varlet viene più volte imprigionato per bloccarlo nella sua attività sovversiva, perché, contrariamente a quanto si crede, il primo scopo dei rivoluzionari, con in testa il “virtuoso” per eccellenza, Robespierre, non era tanto quello di abbattere il vecchio regine, mandare via la monarchia, uccidere il re, sconfiggere gli eserciti nemici, quanto quello di instaurare un nuovo regime, la dittatura della borghesia in grado di assicurare una prosperità bottegaia e produttiva alla Francia – e poi all’Europa – sulla pelle dei nullatenenti, dei miserabili che dovevano solo servire da massa di manovra.

Varlet, Jacques Roux, autore del “Manifesto degli Enragés”, Théophile Leclerc, ed altri anticipano le tesi che si concretizzeranno nella “congiura degli eguali” di Babeuf, Buonarroti, Darthé e altri. Nessun potere sul popolo ma tutte le decisioni dovevano essere prese dal popolo in assemblee permanenti.

L’Explosion è un brevissimo testo in grado, comunque, di farci vedere questo progetto come qualcosa in corso di realizzazione, che il potere in carica, controllato dai giacobini, ostacolava in tutti i modi, come peraltro è sempre accaduto.


Trieste, 19 novembre 2011

Alfredo M. Bonanno

L’apostolo della libertà, prigioniero, ai suoi concittadini liberi

In cinque anni, che ho io pensato,
che ho detto, che ho fatto?

Dal fondo della mia nuova prigione [1], parigini, miei compatrioti, fratelli e amici, quanto mi è dolce il potervi dire che per tre volte nel corso della Rivoluzione venni privato della mia libertà, e sempre per aver difeso la vostra. La calunnia trionfante gioisce delle mie sventure, e io me ne onoro. È bello camminare sotto la stella del destino; essa fu in ogni tempo quella dei buoni amici del popolo. Parigini, testimoni della mia condotta rivoluzionaria, mi appello alla vostra giustizia, contro tutte le grossolane menzogne destinate a farmi perdere la vostra stima. Siate i miei primi giudici: io mi presento al vostro cospetto.

Colui che, il 21 giugno 1791, il 10 agosto, il 31 maggio [2], cospirava con il popolo contro la tirannia reale e legislativa, è forse un agente di Pitt, di Cobourg [3], un uomo capace d’incitare per essi alla sommossa?

Colui che si è mostrato pubblicamente nemico giurato della fazione Brissot, Roland e la Gironda [4], all’epoca in cui la Repubblica gemeva sotto il peso del suo dominio, è forse potuto divenire tutt’a un tratto, per un totale sovvertimento dei propri princìpi l’apostolo del federalismo? [5].

Colui che proverà chiaramente, col patrimonio dei suoi padri e col suo perfetto disinteresse, che ha potuto, più volte nella rivoluzione, far stampare degli scritti patriottici a proprie spese, senza esigere dai suoi concittadini alcuna ricompensa, può forse venir considerato un venduto all’aristocrazia?

Rispondete, Collot-d’Herbois, Robespierre, Merlin, David, Panis, Billaud-Varennes [6], patrioti elettori, membri della municipalità, del dipartimento di Parigi, giacobini, cordiglieri, e voi tutti, sanculotti riuniti sulle pubbliche piazze: io sono un patriota e in catene invoco ora le vostre testimonianze. Voi avete udito i miei discorsi improntati sull’amor di patria, le mie opere passarono tra le vostre mani, i miei pensieri, le mie intenzioni vi furono note; la pubblicità più grande venne a rischiararli: rendete omaggio alla verità, e dite se giammai io ebbi altri idoli all’infuori della libertà, altra morale all’infuori della dichiarazione dei diritti. Testimoni autentici delle mie azioni, vi cito dinanzi al tribunale dell’opinione pubblica; dite pure se lo spirito del repubblicanesimo fu altra cosa, in me, dal desiderio ardente di vedere tutti gli uomini felici, l’indigenza alleviata, i deboli e gli oppressi difesi: aggiungete ancora che, se i miei nemici più accaniti volessero imputarmi un qualche vizio, potrebbero al massimo tacciarmi d’esagerazione; rimprovero me stesso se a volte, non ascoltando che gli impulsi di un animo fortemente sensibile, mi sono lasciato trascinare da delle idee che in sé sono pure e buone. L’impulsività di un repubblicano che tralascia di guardarsi alle spalle e di pregiudizio solo a se stesso. Me ne accorgo in questo momento.

Patrioti caldi ed energici, miei compagni rivoluzionari, fu troppo facile farvi credere ai romanzi della calunnia; diffidate di quegli uomini, patrioti-tartufi, che vanno silenziosi nell’ombra armati di pugnale. Tra essi e me, quale differenza! Quei malfattori agiscono in segreto, mentre il vostro concittadino oppresso si mostrava con la più grande pubblicità!... Repubblicani sensibili alla sorte che non ho affatto meritato; repubblicani giusti, dei quali non ho ancora e del tutto perso la stima, proverò a riconquistarla interamente, potrete leggere dentro di me; se vi restasse ancora qualche dubbio, verrà risolto: la mia vita intera, scrutata dall’esame più serio, fatto sulle mie carte [7], potrà entrare in concorrenza con la deposizione d’un M... Ard [8], il quale, forse istruito appositamente per perdermi, non mi ha affatto risparmiato. L’atto in cui sono depositati i motivi della mia detenzione porta scritto: Uomo sospetto [9] che gira tra i raggruppamenti popolari per incitarli alla rivolta.

Se dal 1789 io non avessi fatto le mie prove, se alcune migliaia di miei concittadini non m’avessero visto in tutte le circostanze che contano, impaziente di compiere con essi il più santo dei doveri; la spada vendicatrice delle leggi potrebbe colpirmi come sedizioso; ma il calunniatore e la calunnia sono confusi, e un grido unanime s’innalza per rispondere ad essi: egli è insorto insieme al popolo, non l’ha mai sollevato.

Prigioniero di Stato alle Magdelonnettes [10], da sei mortali settimane, trascino in schiavitù un’esistenza penosa, mi vedo isolato, abbandonato, dimenticato dopo aver tutto sacrificato alla felicita del mio paese, genitori, amici, fortuna [11].

Presunto cospiratore, attendo in una prigione, dimora riservata ai criminali, l’istante in cui la giustizia vorrà impadronirsi di me, se, tuttavia, convenendo ai miei nemici, essa potrà farlo: poiché essi non ignorano quanto mi sia facile confutare certe imputazioni.

Varlet fu bandito dai Giacobini, dai Cordiglieri, Varlet è un intrigante, Varlet venduto, Varlet scacciato, Varlet di qui, Varlet di là, la viva forza delle calunnie si diffonde, corre e non tace. Sovrani dispensatori del biasimo o del favore pubblico, piccoli attori delle tenebre, quali sono i vostri nomi; mostratevi; che avete fatto voi durante la rivoluzione, quali sono i vostri titoli? Denunciatori, voi dimostrate, accusandomi, un tenerissimo interesse per la causa della libertà portate agli estremi questo zelo così lodevole, accusandomi in faccia al popolo, dinanzi al tribunale rivoluzionario. Che temete? La mia incarcerazione è già d’avvio ai vostri sinistri progetti. Non dite niente? restate immobili? oh! perfidi, allora è vero, la troppa notorietà vi mette allo scoperto; pian pianino, furtivamente, senza clamori, volete voi privarmi di ciò che al mondo ho di più caro, della libertà. Oh! miei concittadini, qual trama ordita contro di me! Perché gli oppressori non sono sottoposti alla legge del taglione? sarebbero certamente meno arditi, più riservati.

Coloro che mi trattengono ora dietro le sbarre delle Magdelonnettes, mi hanno sovente incontrato, sul teatro della rivoluzione; sanno chi fui e chi sono; pertanto li credo in errore. Come altrimenti potrei spiegare le persecuzioni che mi fanno patire? Sono grandemente colpevoli coloro che si sono armati contro di me della mia buonafede, della mia franchezza; hanno dunque dimenticato quando, dalla mia tribuna pubblica, innalzata nel giardino nazionale delle Tuileries, prendendo a testimoni delle verità che andavo enunciando il cielo e il popolo, chiedevo la testa del tiranno [12], allorché all’assemblea convenzionale le opinioni non erano ancora ben pronunciate; quando in innumerevoli arringhe popolari sostenevo coi miei deboli mezzi i deputati patrioti, nel medesimo istante in cui degli infami agenti del federalismo bandivano le loro teste dai luoghi pubblici, e giungevano in audacia fino ad impiccare in effigie l’uomo dalla veracità inflessibile, l’inimitabile Marat, tante volte minacciato, e troppo disgraziatamente spirato sotto il pugnale della tirannia. I patrioti fingono anche di dimenticare che io ho denunciato, perseguitato Brissot e seguaci. Essi avevano l’onnipotenza, dispoteggiavano, tiranneggiavano; eppure io non temevo di svelare la loro turpitudine ai miei concittadini; ebbene, quale fu la vendetta esercitata contro di me? Le nude sciabole alzate sulla mia testa da satelliti brissottini minacciarono i miei giorni nello stesso luogo in cui avevo tante volte rivelato le loro trame.

L’inquisizione duodecemvirale [13] venne a strapparmi dal seno dei miei concittadini, per sprofondarmi nelle galere dell’Abbadia. Il coraggio, l’energia del popolo mise fine allora alle mie persecuzioni; fui libero; dalla mia prigione mi portai al vescovado [14], per vendicarmi; e in qual maniera! Le sezioni riunite in assemblea straordinaria per la salvezza della patria, mi giudicarono degno di tale sublime missione; fui nominato al comitato dei nove; fermo al mio posto, nella notte della seconda insurrezione [15], mi si contò fra coloro che firmarono l’ordine di suonare le campane, la generale, e le misure che portarono alla distruzione dei tiranni federalisti. È così che ho cospirato contro lo Stato, è così che ho sollevato il popolo. Se un patriota incarcerato ha diritto di stupirsene, quello sono io. È mai possibile che la calunnia tenti di passar la spugna su dei fatti così noti? Io non fui più utile e pertanto diventai pericoloso. Sono l’apostolo della libertà e del federalismo; sono un patriota troppo franco e al contempo un intrigante, il nemico di Brissot, l’amico di Pitt, un repubblicano ardente, e nientemeno che un realista, un folle, un esagitato, un entusiasta; oh! miei concittadini, cos’è che non sono!

Avrei mille mezzi per provare l’ingiustizia della mia detenzione, mi limiterò semplicemente a richiamare alla mente dei miei concittadini che il cospiratore Varlet fu anche considerato tale sotto il regno di La Fayette e di Brissot, fu incarcerato per loro ordine; se questi due tiranni lo giudicarono degno delle loro persecuzioni, le supposizioni volgono in suo favore; ma che ne è delle supposizioni, quando si può citare una sequela di fatti continui, un’infinità di prove scritte, una devozione senza limiti alla causa della libertà? Ciò val bene un’apologia. L’istante in cui ci si vede calunniati, ingiuriati, denunciati, accusati quasi, è propizio per parlare bene di sé. Io non mi cingerò di tale aureola; se i miei nemici, incoraggiati dai primi successi, si credono abbastanza sicuri da tradurmi dinanzi ai giudici, è a loro che riserverò sul mio conto le più ampie informazioni. Ma ancora una volta sto abusando di me e dimentico il piano convenuto tra i miei detrattori. Non sarò affatto giudicato, ma rimarrò sequestrato. Cittadino che si suppone sospetto, attenderò nella più vergognosa schiavitù, gli importanti avvenimenti destinati a metter fine alla mia cattività. Oh! miei concittadini, qual sorte è mai la mia; gli aristocratici mi detestano, i patrioti mi perseguitano.

I calunniatori non hanno fissato l’opinione che devono dare di me, essi forniscono una duplice indicazione: io sono sospetto e cospiratore. Se perlomeno mi lasciassero la scelta, non mi vedrebbero affatto usare nei miei confronti dei piccoli riguardi; tratterei con essi secondo le regole della giustizia, e più cospiratore che sospetto, sarei il primo a chiedere la mia traduzione al tribunale rivoluzionario. Questo modo d’agire, diretto e semplice, illuminerebbe a giorno i miei pretesi crimini, e si vedrebbe allora chi è più colpevole, gli accusatori o l’accusato.

E voi, artefici delle mie disgrazie, patrioti ingannati o perduti, repubblicani a metà, aristocratici calunniatori, sguinzagliati per perdermi, anonimi denunciatori; chiunque voi siate, infine, io vi intimo, nel nome dell’equità e del vostro onor proprio, di formulare contro di me i vostri capi d’accusa. Nemici nascosti della libertà, vi è di più, vi sfido a tradurmi dinanzi al tribunale rivoluzionario. Se non vi sentite questo coraggio, il velo della calunnia da cui venni avvolto cadrà da sé, e i membri del comitato di sicurezza generale, secondo i princìpi della più rigorosa giustizia, non potranno impedirsi di rendere alla libertà il suo apostolo più zelante.

Conclusioni.

Io non posso essere sospetto, io sono, o cospiratore, o patriota. Giustizia, giustizia miei concittadini, l’attendo da voi.

La libertà o la morte.

Varlet
vittima del comitato dei dodici

Verbale d’ispezione

Dalla rimozione dei miei sigilli depositato al comitato di sicurezza generale della convenzione nazionale e al comitato rivoluzionario della Sezione dei Diritti dell’Uomo.

Oggi primo giorno della seconda decade del secondo mese del secondo anno della repubblica francese una e indivisibile, in virtù dell’ordinanza emanata in data di ieri dal comitato di sicurezza generale della convenzione nazionale, concernente la rimozione dei sigilli apposti il 19 settembre scorso alla casa del cittadino Varlet, e la ricerca delle sue carte, il tutto in sua presenza e in presenza anche del cittadino Louis Julien Simon Heront, delegato dal detto comitato; la quale ordinanza è rimasta nelle mani del custode delle Magdelonnettes ove è detenuto il cittadino Varlet, e dalle quali a stato condotto al comitato rivoluzionario della sezione dei Diritti dell’Uomo.

Noi Pierre Auzolles, commissario di polizia della detta sezione, assistito dal cittadino Casset, segretario ad interim della detta sezione, accompagnato dai cittadini Gervais, Oudaille, Temponet, membri del comitato rivoluzionario, dal cittadino Caron, commissario agli accaparramenti, dal cittadino Thiebart junior, commissario civile e cancelliere della sezione, e infine, dal cittadino Chartrain, cittadino della sezione, ci siamo portati con essi al domicilio del cittadino Varlet, rue Tiron n. 6, della nostra sezione, dove, essendo giunti e in sua presenza e in quella del cittadino Heront sunnominato, dopo aver riconosciuto come sani ed integri i sigilli da noi apposti il diciannove settembre scorso, sulla porta d’entrata del suo alloggio e averli rimossi come tali, siamo entrati nel detto alloggio, dove, dopo una perquisizione effettuata in tutti i cassetti e in altri posti, non è stato trovato alcunché di sospetto, così come nelle sue carte, tra le quali si è rinvenuta una cartella contenente degli scritti, che ne attestano il più perfetto patriottismo, e di cui segue l’estratto:

1) Raccolta di riflessioni patriottiche che iniziano con queste parole: “bisogna aborrire i tiranni, idolatrare e accarezzare la libertà”.

2) Discorso pronunciato alla società delle cittadine repubblicane, dai cittadini della sezione dei Diritti dell’Uomo, in occasione della consegna a quella società di un gagliardetto con sovraimpressa la dichiarazione dei diritti dell’uomo, e nel quale, tra l’altro, è scritto che la dichiarazione dei diritti è comune all’uno e all’altro sesso; la differenza consiste nei doveri, ve ne è infatti di pubblici e di privati, gli uomini sono particolarmente chiamati ad assolvere i primi, le donne al contrario, hanno per primo loro obbligo, quello dei doveri privati; le dolci funzioni di spose e madri sono loro affidate; mille faccende di dettaglio che esse adempiono consumano gran parte del loro tempo; ciononostante, è possibile conciliare quel che esige imperiosamente la natura e quel che comanda l’amore del bene pubblico.

3) Misure supreme di salute pubblica, proposte ai cittadini del dipartimento di Parigi, del 31 maggio scorso, contenente un supplemento del 10 agosto, e per misure, tra le altre proposte, la creazione d’un comitato insurrezionale, di commissari nominati dalle 48 sezioni e comuni del dipartimento di Parigi, ecc.

4) Un manoscritto intitolato, Un sanculotto ai delegati del popolo alla convenzione nazionale, che inizia con queste parole: “I capi controrivoluzionari della Vandea, i propagandisti del federalismo sono spariti il 31 maggio”, e termina come segue: “Chiedo il decreto d’accusa contro tutti i deputati cospiratori, l’espulsione dei nobili da tutti gli impieghi civili e militari, il licenziamento degli stati maggiori delle armate, e la pena di morte contro i monopolizzatori, aggiotatori e accaparratori”.

5) Estratto d’una ordinanza del club dei Cordiglieri, del 25 maggio scorso, relativa all’arresto eseguito nella notte del 24, dei cittadini Hébert e Varlet, apostoli della libertà, per aver espresso liberamente le loro opinioni con discorsi e scritti; nella stessa ordinanza, il club dei Cordiglieri considera come atti di tirannia, gli attentati commessi contro i cittadini Varlet e Hébert, e come un oltraggio sanguinante fatto a se medesimo e a tutti i patrioti, tale condotta illegale e liberticida.

6) Estratto dei registri dell’assemblea elettorale del dipartimento di Parigi, alla data del 13 maggio scorso, contenente menzione nel processo verbale della soddisfazione con la quale essa ha ascoltato la lettura d’un progetto di dichiarazione dei diritti dell’uomo di sua composizione, stampato, nel quale si riconoscono i veri princìpi del patriottismo ardente di cui è animato, e dell’abbraccio fraterno datogli all’istante dal presidente, con gli applausi di tutta l’assemblea.

7) Altra ordinanza dell’assemblea elettorale del lunedì 18 marzo 1793, giorno in cui Varlet si era presentato per giustificarsi [16], e con la quale l’assemblea passa all’ordine del giorno, poiché non ha riconosciuto nella condotta del cittadino Varlet che un eccesso di zelo.

8) Manoscritto Contro la guardia dipartimentale e proposta fatta per accelerare il giudizio di Luigi Capeto.

9) Discorso pronunciato alla tribuna, al giardino nazionale, nel quale si è dichiarato accusatore d’una fazione che siede alla convenzione nazionale, e della quale Brissot e Roland erano i capi.

10) Rifiuto delle opinioni moderate pronunciate alla convenzione nazionale sul giudizio di Luigi XVI.

11) Voti espressi da dei francesi liberi, o petizione dei sanculotti firmata sull’altare della patria in tre giorni, e presentata all’assemblea nazionale.

12) Opinione vera sulla fuga dell’ex re, pronunciata ad una riunione degli amici della costituzione, e portante in epigrafe: “Se gli uomini vogliono essere liberi, detronizzino i tiranni” .

13) Progetto d’una cassa patriottica e parigina.

14) Denuncia contro Roland.

15) Copia della lettera che il cittadino Varlet ha scritto a Lafayette il 31 maggio 1792, in cui lo informa che, dopo un approfondito studio condotto sul suo comportamento nella rivoluzione, si appresta ad accusarlo, e lo attende in tribunale, avendo fatto sacrificio della sua fortuna e della sua vita alla salute pubblica.

16) Scritto intitolato Dipartimento di Parigi, datato 6 giugno 1793, e constatante che i membri del comitato centrale nominato dalle sezioni di Parigi, a direzione del movimento rivoluzionario del 31 maggio, annunciano che cessano l’esercizio delle loro funzioni, e gliene è dato atto, e gli è dichiarato che hanno ben meritato dal popolo del dipartimento di Parigi; firmato, Dufourni, presidente, e Perdry, segretario perpetuo.

17) Atto enunciativo dei delitti di cui il popolo francese accusa la fazione conosciuta sotto il nome di Brissot, Roland e della Gironda.

Infine, un gran numero d’altri scritti, ispirati dal puro patriottismo, e dall’amore bruciante per la patria.

Ciò fatto, e non avendo più altro trovato, cercato e constatato, noi ci siamo ritirati, dopo avere fatto e redatto il presente verbale, al quale abbiamo atteso fino alle ore 4 suonate, e sul quale tutti i cittadini sunnominati hanno firmato con noi, commissario di polizia e segretario cancelliere ad interim, in quest’ordine, Houdaille, Varlet, Heront, Temponnet, Gervais, Caron, Chartrain, Thiebart, Auzolles, Casset.

Per copia conforme, Casset, Segretario Cancelliere ad interim.

L’esplosione

Perisca il governo rivoluzionario
piuttosto che un principio

Repubblicano [17],

Vi è disprezzo, violazione dei diritti dell’uomo, quando un cittadino viene gettato in galera per aver difeso i princìpi della sovranità del popolo.

Vi è lutto per la patria, quando i tiranni che la opprimono, trionfano; quando sotto di essi gemono i buoni cittadini che la difendono.

Vi è patriottismo oppresso, quando una vittima di Lafayette, della commissione dei dodici, dell’inquisizione rivoluzionaria, viene abbandonata nelle grinfie degli ambiziosi.

Repubblicani, sopporterete tutto ciò? dimenticate gli individui, pensate piuttosto ai princìpi di cui sono stati i propagatori, e soprattutto a quanto nel loro zelo disinteressato hanno fatto bene per il bene medesimo.

Non dubitatene, sono proprio le crude verità, dette alla tribuna del club elettorale [18], che mi sono valse la mia nuova reclusione al Plessis. Se dal fondo della galera il mio pensiero potesse ancora giungere al popolo, me ne rallegrerei; i tiranni mi avranno invano perseguitato; avranno solo fatto crescere il mio zelo, anziché renderlo impotente.

Spie, poliziotti, secondini, galoppini: orsù, fatevi avanti ambiziosi! La mia franchezza può offrire un vasto campo alle delazioni. Le vostre testimonianze non saranno dubbie. Avrete in mano delle prove scritte... Infami! non ho obbedito all’ordine ingiusto di cui sareste portatori, non vi ho lasciato violare la mia intimità, se non nella speranza di trattare da pari a pari con i tiranni, vostri padroni, dinanzi al tribunale del popolo.

Mi si accusa di controrivoluzione. Prevengo la mia traduzione al cospetto dei giudici: il delitto è manifesto... Io mi ritengo colpevole, se per controrivoluzione si intende l’opposizione al governo rivoluzionario. Obbedisco provvisoriamente alla sua tirannia, senza peraltro dimenticare la mia porzione di sovranità, mediante la censura che abbiamo tutti il diritto d’esercitare sui decreti emessi. Mi servirò del difensore d’ufficio; mi costituirò contro un governo fratricida e in favore della dichiarazione dei diritti dell’uomo; mi farò accusatore d’un pugno di ambiziosi, abbastanza forte forse per non temere la verità… Che importa! io la dirò ugualmente.

Mi immolerò per il benessere della patria; là dov’è il pericolo ci si deve prodigare.

L’Amico del popolo [19] non si fece degli scrupoli; smascherò gli impostori ad uno ad uno: io lo imiterò.

Il più svergognato dei mandatari del popolo, il signor Billaud de Varennes, s’inventa un focolaio di cospirazione al club elettorale; ne parla a Barère de Vieuzac ed al barone de Montaut [20], coi quali fa causa comune. Sì, il signor Billaud de Varennes ha ragione nel vedere dei cospiratori nei veri insorti del trentun maggio. Ma se, come allora, essi cospirano col popolo, l’audacia non garantirà ai loro nuovi nemici alcun successo! L’obbrobrio, l’ignominia, attendono questi ultimi. Un residuo del terrore prolunga di un istante la loro potenza. Infatuatisi del potere che inebria, essi, che lo vorrebbero eterno nelle loro mani, giungono nel loro acciecamento a dimenticare che tutti i piani d’oppressione e i loro autori si sono infranti contro la forza popolare. Non esistono scellerati che non siano stati puniti da un popolo che vuole essere libero, e che lo sarà malgrado tutto il gran da fare che si danno Barère, Billaud, Vadier, Collot, Amar, Voulland, Bourdon de l’Oise, Duhem, Ducos, Montaut, Carrier, ecc. ecc. E, completando la lista dei traditori, anche tutti i membri dei comitati di salute pubblica, di sicurezza generale, del tribunale rivoluzionario, colpevoli di complicità o di debolezza sotto il regno di Robespierre, imperator et pontifex.

Repubblicani, non cerchiamo altrove che nel governo rivoluzionario l’origine dell’oppressione sotto la quale la repubblica è caduta gemendo dopo i giorni memorabili del trentun maggio, primo e due giugno. In quell’epoca mi accordaste la vostra fiducia chiamandomi al comitato insurrezionale; e poi si potrebbe da ciò dedurre che io abbia servito la più odiosa delle tirannie, devo quindi al popolo, devo a me stesso, una spiegazione franca.

Tra i cittadini eletti per salvare la patria nella rivoluzione del trentun maggio, vi furono dei patrioti senza collare, eletti dal popolo, insorti con esso per il mantenimento dei princìpi e l’emanazione di una costituzione repubblicana. Vi furono anche degli intriganti, emissari della più distruttiva delle fazioni. Questa lega di Caligola non vide nella caduta dei brissottini che una più vasta carriera aperta alle proprie ambizioni. Il comitato insurrezionale occultò i germi di un governo rivoluzionario creato in anticipo e segretamente. I falsi insorti sostituirono a mia insaputa Robespierre e Brissot al federalismo, una dittatura rivoltante, decorata col nome di salute pubblica. Quanto a me, essendo troppo franco per esserne iniziato, venni messo da parte.

Insorsi, non feci altro. Dopo aver visto i deputati, accusati dall’opinione pubblica, messi in stato d’arresto, mi ritirai; mi dimisi da tutte le mie funzioni, e rientrato in seno al popolo, vi rimasi totalmente estraneo al governo rivoluzionario, se non in quei periodi in cui fu un dovere per me combatterlo. Il governo mi credette poco capace d’assecondarne le mire; non mi fu proposta alcuna missione. Il mio allontanamento dai comitati, dal tribunale rivoluzionario; la mia inattività assoluta, il mio soggiorno alle Madelonnettes dopo il trentun maggio, provano abbastanza, così mi sembra, che io non abbia voluto che l’insurrezione pura e semplice. Miei concittadini! non accusatemi d’essere stato l’artefice delle vostre disgrazie; non merito un così duro rimprovero. L’orribile dittatura di Robespierre non giustifica affatto la tirannia di Brissot; in me non trovo alcun rimorso, sono tranquillo con me stesso... e ciò penso che basti.

Ho appena finito di difendermi da accusato. Ho dunque dimenticato di farmi accusatore?

Repubblicani, il nemico dei brissottini aborre ed esecra i robespierristi. Il loro capo non è più: Si cospira... Con chi prendersela?... Con Pitt? Con Cobourg? con gli stranieri? Pitt, Cobourg, gli stranieri agiscono senz’altro secondo il loro interesse; ma dietro di essi intravedo ambiziosi deputati disputarsi i resti delle fazioni, il possesso del trono. Il dispotismo è passato dal palazzo dei re al circolo di un comitato. Non è il manto regale né la corona né lo scettro che fanno odiare i re; ma solo l’ambizione, la tirannia. Nella mia patria ci si è solo cambiati d’abito. Nazione leggera e versatile! Fin quando i nomi terranno il posto delle cose?... Non sono cieco: il rispetto dovuto alla convenzione nazionale [21] non l’estenderò a dei mandatari infedeli sotto le cui istigazioni un’autorità legislativa costituita emana dei decreti che sovvertono ogni armonia sociale. Abbasserò una fronte di schiavo dinanzi ad un codice rivoluzionario, palladio della tirannia? cederò a tremiti di paura? obbedirò a quest’ordine dispotico: il silenzio o la morte? non avrò affatto simile debolezza. I princìpi consacrati nella dichiarazione dei nostri diritti sono superiori a qualsiasi decreto; essi mi gridano che bisogna innanzitutto essere liberi, che bisogna porsi tra il rispetto dovuto alla massa dei delegati del popolo, e il rispetto dovuto più legittimamente ancora alla sua sovranità.

Incido nella mia mente queste parole d’ordine:

Viva i diritti del popolo sovrano! Rispetto alla convenzione nazionale! Abbasso gli usurpatori! Perisca il governo rivoluzionario piuttosto che un principio!

E continuo inflessibile, colpendo i dominatori con tutta la mia forza.

Che mostruosità sociale, che capolavoro di machiavellismo, è in realtà questo governo rivoluzionario! Per qualsiasi essere raziocinante, governo e rivoluzione sono incompatibili, a meno che il popolo non voglia costituire gli organi del potere in permanente rivolta contro se stesso, il che è troppo assurdo per riuscire credibile.

Schiavi sottomessi al diritto del più forte; vecchi valletti di corte legati ai carri di tutte le tirannie, specie bipede d’egoisti, d’asociali; scrivani venali di cui il popolo paga a caro prezzo i veleni giornalieri; fanatici, idolatri dell’errore; intolleranti, che vedono il crimine là dove non è accetta la loro opinione, ecco chi sono gli adulatori o gli illusi del governo rivoluzionario. Essi servono da pretesto per legittimare la dittatura. In nome della salute pubblica creano un’infinità di dittature in sottordine, corrispondenti col comitato di salute pubblica.

Nel buio delle notti, nel silenzio, in segreto, senza formalità, l’arbitrio, gli odi individuali imbastigliano i cittadini a migliaia. I re rivoluzionari possono regnare solo corrompendo; abbisognano di denaro; la spada di Temi diventa così un pugnale; delle leggi abiette assumono un effetto retroattivo; i grossi proprietari, accusati di finte cospirazioni, compaiono dinanzi a un tribunale omicida, accusatore spietato e sordo ad ogni diritto della difesa; la coscienza criminale dei giurati non ha mai dubbi; nelle orecchie risuona un solo grido: a morte! a morte! Il tempio della giustizia somiglia all’antro dei cannibali, e quei mostri vi parlano di umanità.

L’ultimo gradino nell’avvilimento dei diritti del popolo è raggiunto. Nello Stato si scorge l’autorità opprimente e terribile di pochi ambiziosi, postisi al di sopra del potere legittimo: la convenzione nazionale. Si vedono ovunque cittadini spogliati d’ogni loro diritto ed avere, tremanti e muti dinanzi ai loro tiranni; e a questo punto ci si domanda se la Francia sia popolata di sudditi o di repubblicani.

Cittadini, se siete avidi di conoscere le leggi che vi governano, non andate a chiedere una definizione esatta del governo rivoluzionario ai suoi partigiani; licenziosi ma non liberi, feroci ma non energici, così essi spiegano questa bella invenzione.

“Due terzi dei cittadini sono dei federati, nemici della liberta: bisogna sterminarli. Il terrore è la legge suprema, lo strumento dei supplizi, un oggetto degno di venerazione. Se la distruzione non fosse costantemente all’ordine del giorno, se la spada cessasse di colpire, se i padri della patria non fossero dei carnefici, la libertà correrebbe seri pericoli. Essa può regnare solo su pile di cadaveri, solo abbeverandosi nel sangue dei suoi nemici” [22].

Uomini sensibili! amici miei! non replicate. Il viaggiatore si scansa per far posto al torrente; date ragione ai furiosi, poiché essi potrebbero sacrificarvi ai moti esasperati del loro odio. Ditelo a voi stessi: “Si tratta di sterminare alcuni scellerati o di persuadere e convincere degli uomini che sbagliano? Le mille e una cospirazione esistono davvero? Non sono piuttosto le immaginazioni a cospirare? L’esecutore di così alte opere può rigenerare la nazione, o tale compito spetta invece alla buona organizzazione delle scuole primarie? Il governo rivoluzionario porterà ad una soluzione negli affari pubblici? Mira allo sterminio delle fazioni, o demanda al solo contratto sociale nostro cammino verso un ordine di cose durevoli?”. Belle e consolanti riflessioni; ne sono compiaciuto. Come? I rivoluzionari vanno ora invitando alla moderazione? Io amo molto la moderazione che mi rende umano, tollerante, riflessivo. Ebbene, sia! Sono un moderato; ho meritato l’odio dei grandi patrioti del giorno, e in ciò ho raccolto quel che vado seminando; poiché se essi mi stimassero, di meno potrei stimarmi io stesso.

Patrioti, rimanete fedelmente congiunti ai princìpi, sostenete un cittadino veridico contro l’oro, l’usurpazione, l’abuso di potere; egli si affida, egli si abbandona alla giustezza della vostra causa. Ma che calma! che stupore! che letargo! Il silenzio, il niente, planano su di voi. Repubblicani, state dormendo! e la controrivoluzione veglia. Alla tirannia di Robespierre, manca ora solo il tiranno; il suo orrendo sistema gli sopravvive; dopo l’atroce decreto [23] che, senza distinzioni, mette fuori legge innocenti e colpevoli, e getta un velo sulla più oscura delle cospirazioni, i mandatari eredi del tiranno, arditi congiurati, disprezzati e furbi, deponendo le maschere, controrivoluzionano sotto i vostri stessi occhi. State dormendo! E mentre gli ambiziosi sembrano accanirsi contro i preti, contro i nobili, i preti e i nobili tengono in loro mano la salute d’uno Stato al quale hanno giurato rovina. State dormendo! E il pugnale di Bruto non ha precipitato dalla tribuna Bourdon de l’Oise, tanto audace da dire in pieno senato: Non ci servono dei dittatori, ci serve la dittatura. E il pugnale d’un assassino confuta l’opinione di Tallien sulla illimitata libertà di stampa [24]. State dormendo! E sette mandatari [25] incolpati di fatti di notorietà pubblica, tanto evidenti quanto l’atto di accusa dei delitti di Capeto, di Brissot, si difendono accusando; alcuni loro colleghi si prestano a difensori d’ufficio: se, dicono, i sette membri imputati sono colpevoli, allora l’intera convenzione ha cospirato. Così si abusa della volontà del popolo, nel luogo eletto dell’autorità legittima, nel fulcro dell’unione repubblicana! Il mantello dell’inviolabilità avvolge i congiurati. Lecointre, accusatore energico, viene trattato da calunniatore, da insensato, si parla di unità, di pace, e l’ordine del giorno viene adottato; i sette membri imputati non lavano affatto la macchia infamante che li ricopre; forti della vittoria conseguita contro i calunniatori, essi hanno la debolezza di non tradurre Lecointre al tribunale rivoluzionario. State dormendo! e le prigioni si aprono per i servi, si chiudono per gli uomini liberi: si lascia tranquillo Fouquier de Tinville [26], esecutore dei massacri giuridici del tiranno. State dormendo! e la miseria vi pugnala alla schiena, ma a voi non interessa conoscere qual demone rende sterile un suolo colmo di doni della natura. State dormendo! e l’incendio notturno al salnitro dell’abbadia, l’esplosione di Grenelle [27], accompagnati da false versioni dei fatti, che gettano nelle millecinquecento famiglie più colpite, il dolore, la disperazione e le lacrime, non vi hanno affatto dato la sveglia. State dormendo! e l’aristocrazia vede con gioia segreta il tempio celare in Parigi la paziente attesa del realismo; e Meudon, Château-Fort [28] forgiano misteriose mene cospirative. Il deputato popolare che osa concepire qualche dubbio, è un Pitt, un Cobourg. State dormendo! e Barère de Vieuzac, nobile e cospiratore nato, vi culla con finte vittorie. Io credo nel valore repubblicano: ma non credo a Barère. Questo furbastro che da dieci mesi imbroglia la tribuna della convenzione nazionale, che rende conto alla nazione di migliaia di polveri, fabbricate e inviate alle frontiere, nel momento in cui Condé, Valenciennes [29] se ne impadroniscono senza colpo ferire; ebbene dica anche che non un solo fucile è entrato in possesso del popolo, malgrado il milione destinato all’armamento interno; dica dove finiscono le armi che numerose manifatture giornalmente producono. Se, come Barère ha più volte dichiarato, noi possediamo arsenali, magazzini, accampamenti conquistati al nemico; se numerosi vascelli catturati agli inglesi sono entrati nei nostri porti carichi di viveri, allora perché le armate hanno dovuto alimentarsi di un bottino inesistente, e il consumo interno rimane insufficiente? Il popolo degli artigiani, sul quale pesa la miseria pubblica, non ne ha sentito alcun salutare effetto. Esso domanda a Barère di conoscere lo stato generale delle conquiste fatte; vuole che indichi i depositi che le contengono. Barère! o Barère! non siete più così vittorioso? Repubblicani, state dormendo! e la Vandea omicida [30] rinasce più formidabile dalle sue rovine; questo pezzo di terra, impregnato del sangue più puro, minaccia di alimentare ancora dei nuovi difensori. State dormendo! e alla voce sovrana del popolo, si sostituiscono indirizzi elemosinanti, tessuti di basse adulazioni, che finiscono tutti con queste parole: La guerra, il terrore, il governo rivoluzionario, ognuno al suo posto. State dormendo! e la società dei giacobini snaturata dagli impostori, è alla merce degli ambiziosi che, da essa, dominano il popolo intero. In essa i senatori sono tribuni; i sorvegliati, sorveglianti. Tale società serve da punto d’appoggio al governo cospiratore, d’alimento alle fazioni, da trampolino per gli intriganti. Il vizio ad essa inerente è d’avere due popoli nella sua assemblea: il popolo che paga, parla all’interno della sala; e il popolo che non paga, il vero popolo, il pubblico, è muto sulle tribune. Un vizio non meno capitale è l’ammissione dei deputati in questa società. Il popolo non decide più da sé; i mandatari prepotenti vengono ai giacobini per farsi capi di partito; vi vengono ad organizzare un secondo nuovo termidoro, contro la convenzione nazionale stavolta. Repubblicani, state dormendo! e gli ottantacinque dipartimenti, travagliati dalla tirannia rivoluzionaria, ovunque disseminata, ignorano quanto succede qui, e a loro volta non vi informano assolutamente dell’oppressione sotto la quale anch’essi gemono.

State dormendo! la repubblica è alle strette... Cittadini! cittadini! abbandonate il vostro torpore! risvegliatevi! La patria in lacrime vi chiama, patrioti sfuggiti al fuoco del tribunale rivoluzionario, che vagate qua e là sull’orlo del baratro, energia!... per amore della libertà, e per difendere voi stessi. Aristocrazia pugnalesca, le tue teste son messe all’indice. Imbracciamo le armi! Penne alla mano! Corpo a corpo! Audacia contro audacia! Così bisogna attaccare, braccare, pressare vivamente il nemico, non dargli tregua alcuna. Combattiamo la tirannia, rendiamo pubblici i suoi misfatti, rovesciamo i suoi sinistri disegni, non facciamoci sorprendere dalle sue offensive, osiamo! al bando il pericolo, l’oblio di noi stessi può salvare la patria; i rischi, gli ostacoli, cedono di fronte al coraggio, la piena dedizione li elude. Tremate, tiranni velati di popolarità, il pensiero si fa strada dopo essere stato per lungo tempo compresso, avrà su di voi l’effetto di uno scoppio improvviso. L’uomo libero dà sfogo al suo odio contro gli oppressori, la stampa li riempie di piombo... i capi dei congiurati, dove sono? Pallidi e disfatti, nella polvere, esalano gli ultimi sospiri... non sono più.

La nazione francese respira, le sue numerose falangi si radunano intorno all’autorità ch’essa ha liberamente eletto, formano un baluardo impenetrabile davanti alla convenzione nazionale; il resto impuro dei suoi assassini marcia verso il supplizio. Gli animi si confidano, si dilatano. La gioia, l’entusiasmo sono universali; dalle feritoie del tempio delle leggi, sventola il drappo tricolore, con questa didascalia che diecimila voci d’uomini liberi, in unanime concerto, diffondono nell’aria:

Viva i diritti del popolo sovrano! rispetto alla convenzione nazionale! abbasso gli usurpatori! Perisca il governo rivoluzionario piuttosto che un principio.

Firmato Varlet

Dal Plessis

La disgrazia, quale scuola! quel che scrissi di notte,
alla luce oscura d’una lucerna di prigione,
ne è forse una prova.
Tiranni o ambiziosi, leggete.

La tirannia, il bulldog e i bambini

La Tirannia schiaccia gli uomini semiveridici, gli intrepidi la impietriscono...

Miei buoni amici...

Guardate dei bambini giocare con un grosso bulldog; se si limitano a stuzzicarlo, finiranno azzannati: ma se in una morsa gli serrano il muso, l’animale immobilizzato non oserà morderli.

Firmato Varlet, libero

L’ex nobile ora Funzionario pubblico

Come Barère, vecchia volpe, Giano, anguilla, camaleonte, piovra, cortigiano a tre facce, sa ben scegliere i suoi momenti! Assiste allo spettacolo decisivo del Carousel [31], ultimo atto del Dramma reale. Ed eccolo improvvisamente lanciato alla Tribuna convenzionale; contro la propria opinione, egli vota la morte del re Capeto.

E su di essa fondò il suo potere rivoluzionario: Oh, qual perfidia! Repubblicani, che in ciò niente vi stupisca. Questo Barère de Vieuzac è un ex Nobile.

Firmato Varlet, libero

Le pietre filosofali

Estratto... da un’opera di prossima pubblicazione.

Le produzioni del Creatore devono essere tutte utili; egli non ha fatto niente invano. Poiché l’oro guasta gli uomini, bisogna ostruire le miniere del Perù? Poiché i nostri ex compagni si pavoneggiano in palazzi di marmo, bisogna condannare le loro carriere? Certi egoisti, opulenti, volgono a loro profitto le ricchezze della Natura… Democratici, opponiamoci a queste felicità esclusive! Le nostre piccole amanti, ben gonfie di fuori, ben vuote di dentro; le nostre cortigiane dispendiose, portano sui loro colli, appesi a festoni, e su ciascuna delle loro dita, delle pietre risplendenti di mille fuochi; queste donnette puerili, queste sgualdrine senza onore, brillano, sono abbaglianti.

Io pure vorrei brillare. Io amo il lusso; ma il lusso della cosa pubblica. A tutto quel che possiedo, occorre assolutamente che si mescolino delle idee di Patria... Ad esempio, se volessi brillare, andrei a sprofondarmi nelle viscere della terra, e ne estrarrei un bel porfido, color bruno scuro, quasi nero; e attraversando le miniere brillanti di Golcondia raccoglierei delle pietre preziose, dei diamanti. Al ritorno, felice e contento, salirei velocemente alla soffitta d’un Sanculotto, che so essere un abile quanto disinteressato Artista. A questo povero diavolo, un tempo Gioielliere di professione, direi: tieni, eccoti del materiale, lavora. Con questo bel porfido, color bruno scuro, quasi nero, con quei diamanti ritaglia una tavola dei diritti dell’uomo, intarsiata di brillanti. Non è certo opera da poco, tanta fatica merita un salario. Io conosco il tuo talento, il tuo tempo non ti appartiene: qualcosa ti darò, stai sicuro L’Artista, entusiasta, m’interrompe e dice: Tu non hai preso un soldo per fare il viaggio; allo stesso modo, io comincio, lavoro, eseguo pro patria le tue intenzioni.

Il capolavoro dell’arte è compiuto.

Gli stracci, la miseria brillano; i ninnoli, la magnificenza non più. La sanculotteria brilla. L’Artista ed io brilliamo, offrendo ad essa i Princìpi. La ragione, la repubblica brillano; i Preti, i Re non più. Tutti gli esseri pensanti brillano davanti alle tavole scintillanti dei diritti dell’uomo. Queste pietre brillanti, nelle quali si vedono riflessi i princìpi, non sono forse delle Pietre filosofali? Marchesi, proprietari esclusivi! donnette eleganti! belle per tutti! ecco il nostro lusso.

In morale come in fisica, cos’è mai più bello dei princìpi, del Porfido e dei Diamanti?

Firmato Varlet, libero

Queste tre Note sono estratte da un’Opera scritta interamente sul leggio della mia prigione, Opera che serve da seguito all’Esplosione, intitolata: Viva la Dittatura della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, sempre con la stessa epigrafe:

Perisca il Governo rivoluzionario piuttosto che un Principio.

Firmato Varlet, libero

Nota biografica

Jean-Francois Varlet nacque a Parigi, il 14 luglio 1764, da famiglia benestante. Ben presto orfano del padre, frequentò il Collegio di Harcourt prima d’impiegarsi alle Poste. Entusiasta della rivoluzione, seguì dalle tribune i lavori della Costituente anche quando essa sedeva ancora a Versailles. Del 1789 è il suo primo opuscolo, stampato a proprie spese: Projet d’une caisse patriotique et parisienne. Il 14 luglio 1790 prese parte alla festa della Federazione nazionale al Campo di Marte. Membro del club dei giacobini, di quello dei cordiglieri, della Società fraterna dei due sessi, partecipò a vari banchetti pubblici, cantando un “Pot-pourri national” di sua composizione. Il 21 giugno 1791 compose un pamphlet sulla fuga del re: Opinion vraie sur la fuite du ci-devant roi, mai ritrovato. Dopo l’eccidio del Campo di Marte, salito su una panca di pietra al Palais-Royal, arringò il popolo trascinandolo all’Assemblea nazionale: qui lesse una petizione popolare che chiedeva la destituzione di Luigi XVI. Il 28 aprile 1792 presentò ai giacobini un opuscolo in parte autobiografico, dal titolo J. Varlet à ses chers concitoyens des tribunes et des Jacobins, in cui dichiarava tra l’altro un reddito considerevole annuo di 5.800 livres. Il 20 maggio presentò, sempre ai giacobini, un progetto per sbarazzarsi dei preti refrattari scambiandoli con i prigionieri dei pirati barbareschi. Il 30 dello stesso mese subì il primo arresto per aver definito pubblicamente “scellerato e traditore della patria” il generale La Fayette. Scarcerato, sottopose ai Giacobini il Plan d’une nouvelle organisation de la Société-mère des amis de la constitution, suivi de La religion du Philosophe, dedicato agli indigenti. La fredda accoglienza lo decise a ritirarsi dal club e ad assumere nel contempo l’appellativo di “apostolo dell’eguaglianza”. Il 20 giugno 1792 è tra i firmatari della petizione presentata all’Assemblea legislativa da diverse sezioni contro il veto reale sui decreti che prescrivevano la deportazione dei preti refrattari, lo scioglimento della Guardia reale e la formazione presso Parigi di un campo di 20.000 Guardie nazionali. Il 6 agosto presentò all’Assemblea legislativa una petizione antimonarchica, a nome dei Federati riuniti al campo di Marte e della sezione Roi-de-Sicile cui apparteneva (chiamata poi Droits-de-l’homme), che, una volta stampata col titolo Voeux formés par des francais libres, veniva diffusa in tutte le sezioni parigine. Nel settembre 1792 fu scelto come elettore di secondo grado del dipartimento di Parigi per l’elezione di 24 deputati che avrebbero dovuto rappresentare il dipartimento alla Convenzione. In questo periodo svolse un’attiva propaganda rivoluzionaria dall’alto di una tribuna mobile (un semplice carretto) collocata sulla terrazza dei Foglianti. Vittime preferite dei suoi discorsi divennero gli “appellanti”, cioè i 292 deputati, specialmente girondini, che avevano proposto di sottoporre a referendum popolare la sentenza di morte contro il re. Nel novembre, sfuggiva ad un agguato tesogli da uomini di Roland. Il 9 dicembre 1792 presentò alla Convenzione un Projet d’un mandat special et impératif aux mandataires du peuple à la Convention nationale, che ispirò nei mesi successivi numerose petizioni popolari, e in cui attaccava il principio della rappresentanza parlamentare. Nei primi mesi del 1793 continuò la sua azione di “tribuno volante” propagandando la necessità di una nuova insurrezione che, rovesciando “l’aristocrazia della ricchezza”, fosse a favore delle masse sanculotte. Nelle giornate del 9-10 marzo fu tra gli organizzatori di una insurrezione antigirondina che, a causa dei giacobini e della Comune, si ridusse ad una breve sommossa con saccheggi in alcune tipografie di giornali girondini. Dopo il tradimento di Dumouriez, eletto segretario della sua sezione, nei primi di aprile del 1793 si fece promotore all’Evêché (ex Vescovado) di un “Comitato centrale di salute pubblica corrispondente coi dipartimenti, sotto la salvaguardia del popolo”, composto da delegati delle sezioni, al quale aderì la stessa Comune. Il 13 maggio presentò all’assemblea elettorale del dipartimento di Parigi la sua Declaration solennelle des droits de l’homme dans l’état social. Il 24 maggio, dopo un ennesimo attacco alla Convenzione dall’alto della sua tribuna, veniva arrestato ad opera del “Comitato dei dodici”, commissione girondina istituita per “assicurare il rispetto della legalità”. Il 28 il popolo lo liberava. Il giorno successivo fu tra i promotori, sempre all’Evêché, di un comitato insurrezionale di nove membri, nel quale svolgeva funzioni di segretario, incaricato di preparare le insurrezioni popolari del 31 maggio, 1° e 2 giugno, chiamate anche “seconda rivoluzione”. Il 31, come piattaforma insurrezionale, presentava l’opuscolo: Mésures suprêmes de salut public, proposées aux citoyens du département de Paris. Dopo l’insurrezione, egli, che esternò la propria delusione per i risultati ottenuti, non venne eletto nel Comitato di salute pubblica del dipartimento di Parigi, istituito l’8 giugno a sostituzione del Comitato insurrezionale. Lo stesso giorno, anzi, arruolatosi come commissario, partiva per la Vandea non senza aver prima letto alla sbarra della Convenzione la Déclaration solennelle. Tornò ben presto e, con molta probabilità, partecipò alla stesura della petizione presentata alla Comune il 15 giugno dalla sua sezione, in cui veniva richiesto il calmiere generale per tutte le derrate e pene severe contro gli accaparratori. Il 25 giugno venne chiamato a far parte della commissione di dodici membri incaricata dai cordiglieri di presentare alla Convenzione la petizione di Roux (nota anche come Il manifesto degli enragés) fortemente critica nei confronti della nuova Costituzione giacobina. Coinvolto dalla repressione contro Roux, Varlet venne sospeso, ma non espulso, dal club dei cordiglieri, che gli dimostrò indulgenza per il suo “coraggio nell’esortare e istruire il popolo nelle pubbliche piazze”. Il 4 luglio 1793 venne attaccato da Marat nel n. 233 de “Le publiciste de la République française”, il che non gli impedì di pubblicare un elogio in versi, Aux mânes de Marat, alla morte dell’“ami du peuple”. Appartatosi per motivi di salute, nel settembre 1793 riprese l’attività politica riunendo nuovamente i delegati delle sezioni. A loro nome, il 17 settembre, presentò una petizione alla Convenzione contro il decreto che aboliva la permanenza delle assemblee sezionarie. Attaccato personalmente da Robespierre, venne arrestato il 18 per ordine del Comitato di sicurezza generale, ed incarcerato alle Magdelonnettes. In carcere scrisse un nuovo opuscolo, in cui rivendicava il proprio passato rivoluzionario: L’Apôtre de la liberte, prisonnier, à ses concitoyens libres. Numerose sezioni intervennero per la sua liberazione che sopraggiungeva, anche grazie all’interessamento di Hébert e della Comune, il 15 novembre. Da questa data fino a termidoro se ne perdono le tracce. Certo deve aver avuto una parte importante nella sconfitta di Robespierre. In epoca post-termidoriana lo si ritrova, con Babeuf, militante del Club électoral. È interessante rilevare come l’attività degli enragés sia sopravvissuta al 9 termidoro e come le sezioni rimaste loro fedeli chiedessero a più riprese la libera elezione delle amministrazioni locali. Nel settembre 1794, Varlet riprese il controllo della società popolare che aveva sede nella sala del corpo elettorale, cioè al Vescovado, e il 6 settembre fece votare una petizione che richiedeva l’elezione di una municipalità (richiesta già respinta dai giacobini). Due giorni dopo, un decreto restituì la sala all’Hôtel-Dieu: Varlet e l’incisore Bodson, suo compagno, furono arrestati. Rinchiuso nel carcere del Plessis, con l’accusa di aver cospirato contro la libertà pubblica, il 10 ottobre riuscì a far pubblicare un opuscolo, L’Explosion, che ne rivela le inclinazioni apertamente antiterroristiche e antigovernative. Il successo dell’opuscolo lo indusse a pubblicarne, cinque giorni dopo, una riedizione dal titolo Gare l’explosion e a preparare delle appendici che mai vedranno la luce, se non frammentariamente, raccolte nell’opuscolo Du Plessis. Ancora dal carcere, nel 1795, pubblicava il saggio filosofico Le Panthéon français. Trasferito prima nella prigione di La Force, poi a Bicêtre, nell’ottobre dello stesso anno veniva rimesso in libertà. Relativamente scarse le notizie sulla sua vita successiva. Nel 1799, secondo quanto ci viene riferito dall’autobiografia manoscritta apposta in appendice ad una riedizione del Plan tentò un ritorno all’attività pubblica ma con scarso successo. Nel 1806 lo si ritrova a Nantes, dove stila una Déclaration des droits de l’homme maritime et du citoyen nautique. Aderirà al pensiero di Voltaire e seguirà l’avventura napoleonica. Nel 1830 si esalta per la nuova rivoluzione. Alla fine del 1831 le sue tracce si perdono definitivamente.

[1] Varlet scrive questo pamphlet alla fine di ottobre del 1793, alle Magdelonnettes (ex convento trasformato in carcere), dove si trova detenuto per avere osato presentare alla Convenzione nazionale una protesta contro il decreto che aboliva la permanenza delle assemblee sezionarie. È la terza volta che Varlet finisce in carcere. La prima, il 30 maggio 1792, per ordine di La Fayette; la seconda, il 24 maggio 1793, ad opera di Brissot; la terza, appunto, il 18 settembre 1793 su istigazione di Robespierre.

[2] 21 giugno 1791: fuga e cattura del re; 10 agosto 1792: assalto alle Tuileries e destituzione del re; 31 maggio 1793: seconda rivoluzione popolare.

[3] Pitt il Giovane, primo ministro inglese; Cobourg, duca di Coburgo, comandante in capo dell’esercito austriaco nei Paesi Bassi.

[4] Brissot e Roland erano i leader indiscussi della destra girondina. Arrestati dopo il 31 maggio, vennero ghigliottinati sotto il terrore.

[5] Va sotto il nome di federalismo il decentramento politico e amministrativo instaurato dalla Costituente per opporsi alla centralizzazione dello Stato monarchico e ad imitazione della democrazia americana. Nelle mani della Gironda esso servì alla stabilità del governo, mediante il peso che i dipartimenti, autonomi e di tendenze moderate, esercitavano su Parigi, comunalista e giacobina.

[6] Deputati giacobini alla Convenzione. Collot-d’Herbois, Robespierre e Billaud-Varennes, all’epoca, erano anche membri del Comitato di Salute Pubblica.

[7] Attendevo l’epoca felice della rimozione dei miei sigilli per indurre all’intima convinzione della mia innocenza, come si vedrà dal verbale d’ispezione che segue queste riflessioni. [NdA.]

[8] Denunciatore di Varlet, agente di Robespierre.

[9] La Legge sui sospetti venne votata il 17 settembre 1793, cioè il giorno prima dell’arresto di Varlet. Prevedeva l’incarcerazione di quanti venissero reputati sospetti di attività antipatriottiche. In particolare, erano sospetti “quelli che, sia con la loro condotta, sia per le loro relazioni, sia coi loro discorsi o con gli scritti, si sono mostrati partigiani della tirannia o del federalismo e nemici della libertà” e “quelli che non potranno giustificare i loro mezzi di sussistenza e il compimento dei loro doveri civici”.

[10] La mia Sezione, quella dei Diritti dell’Uomo, ha fatto in mio favore qualche reclamo, fievole e indiretto; lontana dal procurarmi la scarcerazione, la sezione di Brutus se l’è presa coi miei difensori facendoli passare per controrivoluzionari. [NdA]

[11] La giornata del 14 luglio sarà per me ancor più memorabile, mi richiamerà alla mente un sentimento sublime e al tempo stesso doloroso.
Il 14 luglio 1789, la Bastiglia crollò; i Francesi nacquero alla libertà.
Il 14 luglio 1793 io ho raccolto queste parole, le ultime di una madre morente: “Mio caro figlio, abbi cura di te, i nemici sono numerosi, coraggio, immola tutto alla patria e muori se necessario per essa”. [NdA]

[12] Il re Luigi Capeto.

[13] Tale appellativo viene utilizzato da Varlet non senza ambiguità: le commissioni governative erano generalmente composte da dodici membri. Possiamo comunque restringere il campo alla commissione girondina, nominata nel maggio 1793 per far luce sulle cospirazioni “anarchiche” ordite dalla Comune e dalle sezioni parigine, alla quale Varlet deve l’arresto del 24 maggio 1793, e alla commissione giacobina di sorveglianza alla quale Robespierre aveva affidato l’incarico di ricondurre al rispetto della Convenzione e della nuova Costituzione repubblicana i club e le società rivoluzionarie che simpatizzavano apertamente per Roux e Varlet.

[14] Sede della sala elettorale, luogo di pubbliche riunioni e assemblee.

[15] Si tratta della cosiddetta rivoluzione del 31 maggio-1° e 2 giugno, guidata da un Comitato Insurrezionale, installatosi al Vescovado subito dopo la liberazione di Varlet ed Hébert (avvenuta il 27 maggio), composto prima di sei e poi di nove membri.
Questo comitato venne integrato nelle sue funzioni il 31 maggio da 12 delegati del Dipartimento di Parigi (in prevalenza giacobini) e dai delegati di 33 sezioni montagnarde. Mentre Parigi, al suono della “generale” (la grossa campana di Nôtre-Dame) e del “cannone d’allarme”, si rivoltava, il comitato insurrezionale si presentò alla sbarra della Convenzione con un programma di misure sociali e con un atto d’accusa contro i 22 capi della Gironda (denunciati come traditori dalla Comune fin dal 15 aprile), redatto da Varlet.
Ma la tiepidezza dei delegati giacobini, coinvolti nel gioco parlamentare, condusse a concessioni irrisorie. Il 1° giugno, grazie all’apporto di Marat, il Comitato insurrezionale preparò un nuovo indirizzo alla Convenzione che chiedeva la messa sotto accusa di tutti i cosiddetti “appellanti” (coloro che avevano chiesto indulgenza per il re), e cominciò ad operare arresti per proprio conto.
Il 2 giugno, domenica, una folla di operai in armi circondò la Convenzione e la forzò a decretare l’arresto immediato di Brissot e compagni. Ottenutolo, il Comitato Insurrezionale venne imbrigliato dai giacobini presenti al suo stesso interno e, nonostante le denunce degli enragés, il programma di misure sociali, da esso inizialmente propugnato, venne congelato.

[16] Il riferimento è alla fallita insurrezione del 10 marzo 1793, della quale Varlet fu il più attivo organizzatore, deplorata all’epoca sia dai giacobini che dalla Comune.

[17] Il titolo di questo pamphlet, L’Esplosione, si rifà ad un concetto espresso più volte da Jacques Roux e sintetizzato in questa frase del Discours sur le jugement de Louis-ledernier: “Cittadini, per quanto tempo ancora esiterete a fare esplodere il fulmine della libertà?”.
L’Esplosione venne scritto da Varlet nel carcere del Plessis, dove scontava il suo quarto arresto, avvenuto nel settembre 1794 dopo che egli aveva fatto votare, al club elettorale, una petizione che richiedeva l’elezione di una municipalità (la Comune era stata sciolta poco tempo prima).

[18] Società popolare che aveva sede nell’ex Vescovado e dove, oltre a Varlet, militavano Babeuf e una nutrita schiera di estremisti.

[19] Marat, così denominato dal titolo del suo primo giornale.

[20] Billaud de Varennes, Barère de Vieuzac, il barone de Montaut, deputati giacobini, furono tra i principali artefici del terrore e anche tra gli organizzatori della giornata del 9 termidoro che segnò la caduta di Robespierre. Essi passarono dal comitato di sicurezza generale, di cui facevano parte, al comitato di salute pubblica e Barère, in particolare, fu il nuovo ministro della Guerra.

[21] Richiamandosi alla Convenzione nazionale Varlet si richiama a una presunta sovranità popolare ed attacca l’accentramento dei poteri operato dai giacobini.

[22] Questa frase è tratta da un discorso di Barère dell’epoca in cui lo si contava tra i terroristi più accaniti.

[23] La legge sui sospetti fatta votare da Merlin de Douai il 17 settembre 1793.

[24] Il deputato Tallien, a capo, dopo la caduta di Robespierre, della fazione “moderata” della Convenzione, venne ferito leggermente, nella notte tra il 9 e il 10 settembre 1794 da un aggressore rimasto sconosciuto, che probabilmente voleva protestare contro la libertà illimitata di stampa proposta da Fréron nel suo discorso del 26 agosto 1794 e appoggiata incondizionatamente dallo stesso Tallien.

[25] Barère, Billaud, Collot, primi triumviri del comitato di salute pubblica post-termidoriano, e Vadier, Amar, Voulland e David del Comitato di sicurezza generale. Si tratta degli uomini che avevano abbandonato Robespierre dopo essere stati al suo fianco durante il terrore. Il 29 agosto 1794 il deputato parigino Lecointre, alleato di Fréron e di Tallien, accusa, in piena assemblea questi sette di aver partecipato alla “tirannide”. Il 30 agosto su mozione di Cambon, l’assemblea deplorava questa denuncia. Ciononostante, pochi giorni dopo, Barère, Billaud e Collot ritennero più saggio dare le dimissioni dal comitato di salute pubblica.

[26] Il pubblico accusatore del Tribunale Rivoluzionario decadde dalle sue funzioni dopo termidoro. Arrestato, verrà a sua volta ghigliottinato nel 1795.

[27] Due grandi catastrofi succedutesi a breve distanza di tempo l’una dall’altra: il 20 agosto fu distrutta da un incendio la grande manifattura di salnitro allogata all’Abbadia, e il 31 esplose la fabbrica di polveri di Grenelle. Esse furono sfruttate politicamente, soprattutto contro la fazione dei “moderati”.

[28] Città del Nord della Francia, pronunciatasi a favore della controrivoluzione.

[29] Louis-Joseph di Borbone, principe di Condé, organizzò a Coblenza l’esercito degli emigrati. Valenciennes, nelle Fiandre, fu piazzaforte austriaca.

[30] Regione della Francia teatro d’una sanguinosa rivolta cattolica e realista, scoppiata nel marzo 1793 e domata il 17 ottobre dello stesso anno con la presa di Cholet. Tale vittoria, però, non fu definitiva.

[31] Si tratta dell’assalto alle Tuileries del 10 agosto 1792. Il Carousel era il cortile che separava le Tuileries dal Louvre.

 
 

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