Titolo: La ragione genera mostri
Note: Opuscoli provvisori N. 61
Prima edizione: maggio 2015
SKU: opuscoli-000061
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      Nota introduttiva

      Dolce, gentile, rispettosa Susan

      Rosalba, istintiva e degradata

      Tutto casa, parrocchia e scuola

      La madre superiora

      Mister cavalcavia

      Faccende di toponomastica

      Le vie dell’assistenza sanitaria

      Il volto della polizia

      I fedelissimi di Muccioli

      Il boss e la sua polizia

      Un’anomalia

      A proposito di pagare

      Giù dal sesto piano della caserma

      Quatti quatti, nella notte

      L’opinione dell’oca Ambra

      È calato il silenzio sul terrorismo di Stato

      Disonora il padre

      Il braccio armato del Papa

      Il figlio d’un altro colore

      Come convincere il genitore

      A tutti i costi

      I pacchi postali

      La lite

      L’eredità

      Fuoco alla figlia

      La nonna

      È stato lui, no è stata lei

      Piccole pietre

      La colomba

      Nel quartiere

      Gli angeli

      Senza patente

      In cella

      L’offerta di lavoro

      Naziskin

      Officina 99

      Mi umiliava

      Quattro galline

      La pistola di papà

      Consiglio d’Europa

      Guardiane del Palio

      Stadera

      Libro di favole

      La sindrome di Nicholas

      Nella vigna del signore

      Esecuzione a Bologna

      La fiera dell’orrore

      Un’ordinata struttura di violenza

      La traccia delle idee

      Faccende notturne

      Una condanna per bestemmia

      Senza seme

      Quello che conta

      Un gioco

      Nelle nostre mani il nostro destino

      L’altezzosa bestialità del comando

      Venga a ritirare il premio

      L’ultima ragione

      Dietro il velo dei ROS

      Dieci piccoli periti

      Solo cinque marchi

      Un affettuoso sentimento di orrore

      Senza sapere perché

      Una faccenda marginale

      Le braghe di Balla

      Quel che c’è di diverso

      Vermi a norma di legge

      Un morso al seno dell’FBI

      Il sapore della paura

      Dove sono i massacratori?

      Nell’armadio della Volkswagen

      Solo alla nuca

      Il cappellano militare

      Dall’alto, senza motivo

      Una pesante passeggiata

      Tornando indietro

      Tutt’altro che fanciulli

      Perché

      Ferocia senza perplessità

      Resta solo il Re Leone

      Nessun futuro

Nota introduttiva

Ma siamo proprio certi che Goya non si sia sbagliato? È vero che il sonno della ragione genera mostri? oppure è esattamente il contrario?

Ma pensate veramente che la macchina della “soluzione finale”, messa a punto dai nazisti, fu realizzata in un momento di distrazione della ragione? E l’insegnamento di Hegel che cosa aveva prodotto? Se il “reale è razionale”, anche una macchina come quella, perfettamente oleata e resa possibile dall’intervento (ben pagato) dei tecnici americani dell’IBM e dall’utilizzo delle schede perforate, non poteva essere altro che un prodotto della ragione.

Ma per rendersene conto, e inorridire fin dentro la più piccola vena che gira attorno al nostro cuore di pusillanimi perbenisti, non occorre pensare a milioni di morti. Basta molto di meno, basta poco. L’orrore è proprio nella porta accanto alla nostra, cammina altero e sicuro di sé sotto i nostri occhi, e chiede solo di essere accettato nella sua più che fondata “normalità”.

Questi miei contributi settimanali a “Canenero” parlano chiaro. Almeno così mi pare.

Che ne pensate?


Trieste, 23 aprile 2014

Alfredo M. Bonanno

* * * * *

“Il sonno della ragione genera mostri”: titolo di un’incisione dei “Capricci” di Francisco Goya (1746-1828).

* * * * *

Dolce, gentile, rispettosa Susan

Dunque è stata la dolce, gentile e rispettosa mammina Susan ad annegare i propri due figli, di tre anni, uno, e di quattordici mesi, l’altro, gettandoli ancora vivi, insieme alla macchina, nel lago del suo paese, un piccolo centro nella Carolina del sud.

La Medea americana sembra aver voluto in questo modo scaricare tutte le sue tensioni accumulate nel rapporto col suo ex marito, padre dei bambini. Non è stato il terribile negro rapitore e violentatore di bambini a portare con sé i due piccoli, fantasia di evasione alimentata per nove giorni dalla dolce Susan, ma lei stessa, la premurosa genitrice della prole.

Anche se faccende del genere sono rare nei loro connotati estremi, non sono rare le condizioni di violenza e di terrore in cui vivono milioni di bambini in tutto il mondo, a causa dei rapporti familiari, oltre a tutte le altre cause (guerre, epidemie, carestie, esodi biblici, ecc.) che li colpiscono sistematicamente. Negli Stati Uniti soltanto, sembrano più di tre milioni all’anno i bambini vittime di violenze.

Anche un individualista anarchico come Emile Armand, che reclama di determinare come si vuole le modalità della propria esistenza anche per i fanciulli, si vede costretto a scrivere: “Senza dubbio spetta alla madre – a colei che ha messo al mondo il fanciullo senza consultarlo – di vegliare sulla propria progenitura fino a quando questa sia in grado di fare a meno d’essa fisicamente, di muoversi senza difficoltà, di esprimersi senza esitazione, di fare conoscere chiaramente il suo desiderio; senza dubbio spetta alla madre di intendersi col padre, se essa lo crede bene, di affrettare il momento in cui il loro fanciullo si troverà nelle condizioni volute onde possa determinarsi da se stesso”. Il senso profondo di quel “loro fanciullo”, scritto da un uomo come Armand, la dice lunga sulla difficoltà del problema.


[Pubblicato su “Canerero” n. 3 dell’11 novembre 1994, p. 7]

Rosalba, istintiva e degradata

Ceccano, provincia di Frosinone. Un’altra madre, un’altra storia. Questa si accompagnava ai figli, insomma li usava sessualmente: tre figli maschi e una femmina. La cosa, secondo i punti di vista, e il nostro non è certo quello della condanna dei rapporti considerati incestuosi dalla morale corrente, potrebbe anche essere considerata accettabile. Ma il fatto non si fermava lì.

Rosalba era fin troppo generosa del corpo dei propri figli e, specialmente per quel che riguardava la femmina, non badava tanto al numero dei frequentatori. Da qui allo stupro continuato, in condizioni di maggiore o minore violenza, il passo è stato breve.

Poi la denuncia e la condanna. Della madre e dei tre stupratori. Adesso la Corte di cassazione ci ha ripensato e tenendo conto del clima generale di “degrado” dell’ambiente familiare ha considerato colpevole solo la madre e non gli allegri profittatori. Vicende di una giustizia che non ci ha mai interessato.

Ma della ragazza? e degli altri ragazzi? Quante sono le situazioni di vita in cui migliaia di altre Rosalba, per trovare un po’ di sollievo alla terribile loro esistenza, non hanno altra soluzione che quella di portarsi nel proprio giaciglio il familiare che russa nel giaciglio a fianco? E da qui il passo alle condizioni ideali dello stupro è breve. In fondo in questo modo tutto resta in famiglia e quello che non si vede non arreca danno, ma può a volte tradursi in un ricavo spesso indispensabile, come nel caso di quella madre di Montegiordano in provincia di Cosenza che portava fino a casa di alcuni vecchi pensionati la figlia di dodici anni per farla toccare un po’ nei punti giusti dietro il modico compenso di cinquantamila lire.

Come si vede le “cure” materne hanno tanti risvolti interessanti.


[Pubblicato su “Canerero” n. 3 dell’11 novembre 1994, p. 7]

Tutto casa, parrocchia e scuola

Il professore insegnava matematica e fisica all’istituto professionale di Lamezia Terme. Uomo perbene con tre figli ancora piccoli, un insegnante integerrimo, mai uno screzio nella sua famiglia, almeno uno screzio visibile dall’esterno.

Eppure quest’uomo tutto d’un pezzo, frequentatore della parrocchia, assiduo alla messa della domenica e alla comunione con tutta la famiglia, doveva per forza covare dentro di sé chissà quali odi per la propria famiglia, tanto da arrivare ad un gesto che tutti definiscono assurdo, quello di uccidere in pochi minuti la moglie, la cognata e la suocera. Prende il fucile, chiude i figli in una stanza, poi ammazza uno dietro l’altro i familiari, quindi prende i bambini, scende in strada e si consegna ai carabinieri.

Nemmeno mezz’ora e tutto quello che di innominabile e intollerabile vive sommerso dentro i rapporti familiari, per una volta almeno, viene improvvisamente alla luce. Il mostro che dorme a fianco ad ognuno di noi, sbadiglia e si ricompone. Poi tutto torna come prima. Poi ci illudiamo di tornare intatti alle nostre faccende, a credere come se nulla fosse successo nella santità e nella validità dell’istituzione. Un modo come un altro per salvarci la vita.


[Pubblicato su “Canerero” n. 3 dell’11 novembre 1994, p. 7]

La madre superiora

Nell’istituto delle Compassioniste di Chieti Scalo, Suor Gertrude, al secolo Elisabetta Bellini, 62 anni, originaria di Turi si è scoperto che picchiava i bambini a lei affidati nell’asilo infantile annesso al convento. Per altre due suore, possibili collaboratrici nell’opera di “educazione”, non si sono avute prove giudiziarie per arrivare ad una condanna, ma i genitori dei bambini sono convinti che anche loro applicavano la stessa terapia. La tradizionale pedagogia cattolica tarda a perdere i suoi connotati classici.


[Pubblicato su “Canerero” n. 3 dell’11 novembre 1994, p. 7]

Mister cavalcavia

Come in un film di cattivo gusto ma di grande efficacia, un manichino è stato impiccato dall’alto di un cavalcavia dell’autostrada nei pressi di Massa Marittima. L’effetto sugli automobilisti è stato considerevole, generando panico e arresti nella viabilità.

Molti hanno pensato a qualche spettacolare impiccagione, altri che qualcuno si stava lanciando dal cavalcavia, altri ancora a uno dei soliti scherzi dei ragazzi scapestrati delle autostrade. Nessuno ha riflettuto sulla straordinaria vulnerabilità in cui si trovano tutte le autostrade e, con esse, qualunque altra struttura cui ci affidiamo continuamente, con la massima incoscienza, contando spesso più sulla fortuna che sulla logica.

E se fossero proprio i pupazzi a risvegliarci dal sonno ipnotico in cui sembrerebbe siamo caduti da tempo?


[Pubblicato su “Canerero” n. 3 dell’11 novembre 1994, p. 9].

Faccende di toponomastica

A Desio, in provincia di Milano, la giunta leghista della città, su proposta del consigliere Prosperini, ha sostituito il nome della via Palmiro Togliatti con quello di Via Alpini della Julia, come dire che dal massacratore singolo si è passati al massacratore collettivo.

Ma di più. La sostituzione è di certo un segno dei tempo, corrispondendo all’alleggerimento del carico ideologico in corso nelle faccende pubbliche. Togliatti poteva infatti essere ancora oggi inteso, ed erroneamente, come un capo rivoluzionario, come un condottiero della lotta di liberazione degli sfruttati, e tutto il resto. Il potere medesimo, nelle sue frange periferiche, pone mano alle correzioni, e rimette al posto la funzione primaria dell’esercito, quella repressiva.

Forse la notizia non avrebbe meritato una riflessione se non ci fosse stata, quasi contemporaneamente, la proposta del direttore del carcere minorile di Palermo, di intestare una strada di questa città a Stefano Di Giorgio, un ragazzo ucciso mentre tentava di rubare un’autoradio.

L’ideologia di fondo, questa volta genericamente populista, ma altrettanto funzionale ai bisogni del potere, ritorna quindi indirettamente. La sostanza delle cose, cioè il fatto che la repressione è repressione e non fa chiacchiere, viene di nuovo coperta, forse in modo più difficile da scoprire. Cosa volete che sia il massacratore Togliatti di fronte al povero ragazzo ucciso mentre rubava un’autoradio? Roba d’antiquariato.


[Pubblicato su “Canerero” n. 3 dell’11 novembre 1994, p. 8]

Le vie dell’assistenza sanitaria

In Iraq, Saddam ha fatto approvare una legge che garantisce per tutti coloro condannati al taglio dell’orecchio, la fornitura, a spese dello Stato, dell’anestetico necessario a che l’operazione venga svolta senza dolore.

Fino a poco tempo fa, l’anestetico, per chi lo voleva, era a spese del condannato.

Come si vede siamo moderni anche in questo. L’assistenza sanitaria non ha limiti. Nelle procedure dell’Inquisizione spagnola, invece, il costo della legna usata per il rogo, veniva fatturato all’imputato, e in sua vece, dopo l’esecuzione, il pagamento doveva essere sostenuto dagli eredi.


[Pubblicato su “Canerero” n. 3 dell’11 novembre 1994, p. 8]

Il volto della polizia

Erano lì, dietro i loro gipponi, pronti all’uso della ferocia repressiva, del manganello, degli anfibi con cui colpire in faccia, dei calci dei fucili, dei pugni e di quant’altro la ferocia antica di stupidi servi, aizzati da stupidi discorsi, fatti da stupidi facinorosi in veste dirigenziale, malconsiglia.

Solo gli studenti non lo sapevano. Non potevano saperlo. La memoria è faccenda individuale e non attraversa il tempo e la storia, non si trasferisce con le chiacchiere accanto al fuoco la sera, né grazie ai ricordi di vecchi compagni ormai in disarmo.

E poi, quei ragazzi, d’altro canto, cosa chiedevano? Poco. Miglioramenti, riduzione delle tasse scolastiche, o, ancora più oltre, manifestavano contro la “finanziaria”. I poliziotti non possono sapere tante cose, per loro non fa differenza se uno scende in piazza per chiedere la modifica di una legge, o per chiedere la luna. L’indottrinamento che ricevono non va al di là di quello che comunemente viene dato ad un qualsiasi cane da guardia. Non appena gli si lascia libero il guinzaglio, morde senza nemmeno abbaiare.

Rivedere con chiarezza questa condizione di lotta sulle piazze ha destato molti rammarichi, molte grida di sdegno, molte perplessità, molte condanne. Tutto ciò accanto alle giustificazioni di questura, che, come si sa, sono faccenda di velina e di routine. A noi sembra si tratti di vicenda davvero poco strana. La polizia (e con essa tutte le polizie di qualsiasi colore e forma di divisa, in qualsiasi parte del mondo e non solo a Napoli) non ha mai smesso di pensarla allo stesso modo. Non esistono questurini buoni e democratici e questurini cattivi e fascisti. Esistono solo questurini. Sappiamo benissimo che questa conclusione verrà letta come massimalista e quindi non in grado di fornire spiegazioni. E chi vuole fornire spiegazioni?

Qui, se c’è qualcosa da fare, è ricordarsi chi si ha davanti per la prossima volta. La denuncia delle efferatezze della polizia lascia il tempo che trova. Domani, se non lo hanno di già fatto, questa brava gente cercherà di rifarsi un nuovo aspetto democratico e permissivo, qualche poliziotto più esposto verrà rimosso e trasferito per qualche mese, poi riceverà sottobanco una promozione. Ognuno fa il suo lavoro. Non ci saranno problemi per i massacratori di oggi, come non ci sono stati per quelli di ieri. Mai. Salvo qualche rara eccezione. E in questi casi i problemi non sono loro venuti dallo Stato, che da parte sua ha sempre provveduto a fare stilare dagli uffici stampa ottimi profili alla memoria.

A Napoli, il vero volto della polizia si è rivelato quindi quello di sempre.


[Pubblicato su “Canerero” n. 4 del 18 novembre 1994, p. 2]

I fedelissimi di Muccioli

Un gruppo ben addestrato, operante all’interno di San Patrignano ogni qualvolta era necessario intervenire per pestaggi, punizioni, convincimenti pesanti e, in ultimo, perfino, soluzioni finali. I fedelissimi di Muccioli costituivano, e costituiscono ancora, una squadra di pretoriani e una sorta di polizia personale, privata, al servizio dei disegni repressivi del grande ortopedico di anime. Per definire queste attività, e la logica che le regge, è stato coniato il termine di “Muccioli chirurgo della droga”.


[Pubblicato su “Canerero” n. 5 del 25 novembre 1994, p. 7]

Il boss e la sua polizia

Napoli. Avevano subito il furto di un motorino. È intervenuto il boss del quartiere con la squadra dei picciotti destinata a imporre nella zona la pax mafiosa. Picchiando a destra e a manca questi poliziotti fuori ordinanza hanno trovato due ragazzini e li hanno obbligati, dopo averli bastonati ferocemente, a trovare loro i ladri del motorino. Piccole sfumature della repressione di periferia.


[Pubblicato su “Canerero” n. 5 del 25 novembre 1994, p. 7]

Un’anomalia

Gli scontri di Napoli, (vedi il n. 4 di “Canerero”), nel corso dei quali uno studente è stato gravemente ferito, nell’analisi del capo della polizia Fernando Masone, sono dovute a un’anomalia: una volante della polizia si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Inoltre c’erano presenze estranee ai cortei. Che il capo della polizia voglia dare la colpa ad un poliziotto ubriaco? Che voglia scaricare i fascisti che picchiavano i compagni a fianco degli sbirri?


[Pubblicato su “Canerero” n. 5 del 25 novembre 1994, p. 7]

A proposito di pagare

Il questore di Napoli Lomastro ha detto che chi deve pagare pagherà per le conseguenze degli scontri di Napoli (vedi notizia precedente). Per il momento non vuole dire i nomi dei poliziotti picchiatori (anche perché sarebbero troppi e la polizia di Napoli resterebbe sguarnita se li si dovesse punire tutti). Lomastro non vuole dire i nomi per non esporre i manganellatori a un linciaggio morale. Quest’ultima è la sua tesi difensiva, e del linciaggio fisico subito dai manifestanti di Napoli?


[Pubblicato su “Canerero” n. 5 del 25 novembre 1994, p. 7]

Giù dal sesto piano della caserma

Un immigrato marocchino è andato giù dal sesto piano della caserma della guardia di finanza di Palermo. In tasca gli erano stati trovati 100 gr. di hashish, almeno questa l’accusa. Ad un certo punto il volo dal sesto piano. I soccorsi tardano ad arrivare per ben venti minuti fin quando non si trovano davanti ad un cadavere, che in quanto tale non può parlare. Dopo Salsedo e Pinelli, si vede che i poliziotti, di ogni ordine e grado, non hanno perso il gusto del volo dalla finestra.


[Pubblicato su “Canerero” n. 5 del 25 novembre 1994, p. 7]

Quatti quatti, nella notte

Silenziosi nella notte cinque ragazzini, micidiali come il destino, stavano sistemando dei grossi sassi sui binari della ferrovia dalle parti di Bari. Di lì a poco doveva passare l’espresso per il Nord. Sono stati fermati per caso appena in tempo dai carabinieri. Chi potrà fermarli la prossima volta? Ahimè!, si diranno i paurosi e gli aspiranti alla tranquillità dei cimiteri, come erano belli i tempi andati, quando i fanciulli restavano a casa a leggere il libro Cuore, o magari, in tempi più recenti, legati alla sedia dalla ferrea volontà dei genitori, obbligati a studiare e ad annoiarsi. E qui una domanda ancora più inquietante: e se la televisione non funzionasse più? Se non fosse più capace di addormentare i bambini? Se gruppetti sempre più numerosi di adolescenti, la notte, una notte qualsiasi, improvvisamente...


[Pubblicato su “Canerero” n. 5 del 25 novembre 1994, p. 2]

L’opinione dell’oca Ambra

“Gli studenti che occupano perdono tempo e non sanno quello che fanno”. Come poteva essere diversa l’opinione di questa ragazzina, studentessa anche lei (a quel che dicono), che incassa miliardi dallo stesso padrone contro cui stanno lottano gli studenti?


[Pubblicato su “Canerero” n. 7 del 9 dicembre 1994, p. 7]

È calato il silenzio sul terrorismo di Stato

Com’era prevedibile, non si parla più dei poliziotti della questura di Bologna, arrestati qualche settimana fa e accusati di omicidi e rapine. Il motivo dominante di questa banda di assassini in divisa è stata la costanza del ricorso alle sparatorie e alle uccisioni. Spesso, nei metodi impiegati, appariva chiaramente l’intenzione di fare paura, di diffondere il terrore. In maniera evidente, e forse per la prima volta a questo livello, è apparso il vero volto terroristico, quello dello Stato, quello appunto che non riesce più a nascondersi nelle pratiche repressive indirette e si manifesta nella pura e semplice intenzione del terrore.

Di più. Questa volta il terrore è stato gestito ricorrendo ad azioni di minore dimensione, appartenenti a una tipologia del “crimine” cui la gente comune ha ormai fatto l’abitudine. Non si è fatto ricorso alle bombe sui treni o nelle grandi banche, non ci troviamo davanti all’Italicus o a Piazza Fontana, siamo nel centro proprio della vita quotidiana dell’uomo dabbene, del pensionato e dell’impiegato di banca. A costoro è stato proposto il più efficace modello del terrore, quello che colpisce per il semplice scopo di mettere paura, e colpisce non nella distanza siderale dell’atto clamoroso, ma nelle piccole situazioni di tutti i giorni.

Per la prima volta siamo di fronte al volto glaciale di veri terroristi, uomini della polizia che hanno scelto, o sono stati consigliati a scegliere, la strada del terrore, per ricacciare indietro i fantasmi dell’inquinamento razzista, del dilagare della promiscuità razziale (forse sono stati questi i simboli tristi suggeriti da occulti persuasori per spingerli ai loro atti di terrore); per la prima volta abbiamo la prova fisica della nostra tesi di sempre, che il solo terrorista è lo Stato, tesi che adesso vediamo venire fuori dall’astrattezza dell’istituzione senza nome per identificarsi nella faccia senza espressione di uomini della legge e dell’ordine.

Forse per la prima volta, almeno in anni recenti, ci troviamo di fronte ad una strategia che lo Stato potrebbe sviluppare su larga scala nell’eventualità di disordini sociali. Il modello, storicamente identificabile con certezza, è di certo quello dell’OAS, agente per tutta la guerra d’Algeria e impiegato sistematicamente dai servizi segreti francesi. Altri progetti del genere sono stati impiegati per determinare lo scatenarsi della guerra civile nella ex Jugoslavia.

E, per realizzare simili progetti, come si vede, gli uomini non mancano. Basta cercarli e coltivarli opportunamente. E i persuasori dello Stato sanno come fare.


[1994]

Disonora il padre

Giuseppe Mandanici è un ragazzo gay di Mazzarà Sant’Andrea, un paese vicino Messina. Le scelte del figlio sono considerate “disonoranti” dal padre che ne commissiona l’omicidio. Come tollerare un affronto simile al proprio onore e a quello della propria famiglia? Più che comprensibile, per la morale corrente.

Il genitore ricorre dapprima a tutte le pressioni possibili, minacce, percosse, intimidazioni, poi, vista l’inutilità di questi mezzi diciamo diretti al “convincimento”, sceglie il mezzo estremo, mettere fine per sempre a quello sconcio. Trova due balordi, li paga, e questi uccidono Giuseppe.

Un ultimo fatto sconcertante. Al processo, la tesi che, dentro certi limiti, è giusto uccidere un gay è emersa fra le righe della sentenza, sia per il modo in cui è stata ricostruita la vicenda, sia per le attenuanti fondate sull’onore offeso del padre, sia infine per le condanne applicate, molto al di sotto di quelle che la legge prevede per un omicido del genere. Ma tanto, cosa c’è di nuovo: sapevamo da sempre che uccidere un “diverso” non è proprio un reato, neanche a termini di legge.


[Pubblicato su “Canerero” n. 9 del 6 gennaio 1995, p. 6]

Il braccio armato del Papa

Un giovanotto vestito di nero, con la certezza di tutti i fanatici portatori di morte, si è presentato nei giorni scorsi davanti ad alcuni consultori americani facendo cantare il proprio fucile a ripetizione. Due donne uccise a Brooklyn, nei pressi di Boston, una sparatoria con diversi feriti in Virginia. Il precedente più vicino nel tempo è dato dall’uccisione di un medico abortista e della sua guardia del corpo in Florida. Cinque i morti negli ultimi due anni, decine i feriti, sempre nel corso di attentati nei consultori familiari.

Le dichiarazioni rilasciate dai rappresentati dei vari movimenti antiabortisti lasciano intravedere una “coscienza” perfettamente tranquilla. E, sullo sfondo, la sapiente regia oltranzista dei sanfedisti alloggiati in Vaticano. Cosa possono significare episodi del genere per il Santo Padre, di fronte ad un problema così grave (a suo dire) come l’aborto. La propaganda cattolica, e non solo quella, alla pari di qualsiasi altra espressione religiosa dell’integralismo, produce soltanto disperati in balia delle proprie allucinazioni e addomesticati in cerca di salvezza ultraterrena.


[Pubblicato su “Canerero” n. 9 del 6 gennaio 1995, p. 2]

Il figlio d’un altro colore

Gabriella conosce un giovane marocchino, El Usfur Rachid. I due ragazzi si innamorano e fanno l’amore. Lei resta incinta. Da qui la paura della famiglia. Come dirlo? Come giustificare l’arrivo di un figlio d’un altro colore? Di già è difficile parlare di un bambino avuto fuori del matrimonio, pensate poi se è figlio di un marocchino. La ragazza non se la sente di affrontare il problema, anzi decide di rompere col giovane e di nascondere tutto anche alla famiglia. Sembra però che questo non sia stato possibile fino all’ultimo. All’ospedale di Gavardo, nei pressi di Salò, il figlio è venuto alla luce ma tutta la famiglia si è data da fare per nascondere la “colpa”. Quando sono arrivati i carabinieri la madre e due fratelli stavano pulendo il bagno sporco di sangue. Il bambino era stato messo sul balcone perché facesse prima a morire.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

Come convincere il genitore

Non voleva che si sposasse così giovane, e non certo col ragazzo da lei scelto. Spesso l’autorità dei genitori cerca fino all’ultimo di decidere sulle scelte d’amore dei figli. Così Monia, 17 anni, ha deciso di dichiararsi incinta e di pretendere il matrimonio “riparatore”. Davanti alla pericolosa eventualità che una figlia gli restasse in casa con un bambino “non in regola”, il padre acconsente al matrimonio. Tutti felici? No. Il bambino non c’era e a denunciare il piccolo imbroglio è stato il prete, a cui la ragazza aveva rivelato tutto in confessione. Quello che non può la famiglia, lo fa la Chiesa.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

A tutti i costi

La madre ha denunciato la figlia ai carabinieri perché conviveva con un uomo che non le andava a garbo. Il procedimento legale ha convinto il tribunale a decidere l’“adottabilità” della bambina di sei mesi. È così scattato il solito meccanismo: le assistenti sociali, sbirri in gonnella, sono andate a casa della ragazza per prelevare quanto loro dovuto. Ma Francesca non era d’accordo. Si è barricata in casa difendendo a tutti i costi la bambina che l’associazione madre-carabinieri-assistenti sociali voleva toglierle. Non sono riusciti a portarla via.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

I pacchi postali

Lasciato in deposito all’asilo nido di Sottomarina, vicino Chioggia, un bambino di nove mesi non è stato ritirato alla scadenza delle ore di refettorio dai genitori. Questi, che hanno altri due figli, hanno pensato bene di andar via. A occuparsene è adesso la burocrazia comunale e gli “angeli” del brefotrofio. Abbastanza simile il caso dell’aeroporto “Galilei” di Pisa. Qui, nella toilette, è stato trovato un pacco contenente un bambino nato poche ore prima. Trasportato all’ospedale è stato salvato appena in tempo e adesso anche lui andrà a ingrossare gli ospiti del locale lazzaretto per piccoli abbandonati.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

La lite

Una delle caratteristiche relazionali del matrimonio è la “lite”. Fra i processi patogeni che derivano dall’unione coatta, e quindi dal reciproco controllo sociale che ne deriva, c’è quello del “sospetto” sul comportamento dell’altro, spesso neanche necessariamente fondato su qualcosa di concreto. Dopo soli due mesi di matrimonio, Angela D’Alessandro, di Pescara, dopo aver litigato col marito ha raccolto tutti i mobili di casa nel centro di una stanza e ha appiccato fuoco, lasciando il marito atterrito ad aspettare i vigili del fuoco.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

L’eredità

Per pochi milioni raccolti in un libretto di risparmio postale, Angelo Mattaliano, di ottantun’anni ha ucciso a coltellate la moglie di settantaquattro. Il diverbio riguardava la destinazione della modesta somma: il marito la voleva lasciare al figlio, la moglie alla figlia. La coppia viveva da anni alla periferia di Roma la vita tragica di tantissime coppie di pensionati ormai al tramonto di una vita inutile e senza contenuti. Alla stessa maniera, in un altra zona della periferia della capitale, Germano Rinaldi, di novantadue anni, ha cominciato a litigare con la moglie Filomena di ottantanove anni dandogli martellate in testa. I due si odiavano a morte. Una intera vita segnata dall’impossibilità di vivere. Qualche mese fa Germano aveva cercato di centrare la moglie con un vaso di fiori gettato dal balcone mentre lei rientrava con la borsa della spesa. La convivenza, quasi sempre, mantenuta in condizioni di elementare sopravvivenza, fa presto a trasformarsi in una condizione artificiosa e vuota, da cui si può uscire spesso soltanto con la morte.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

Fuoco alla figlia

Al Cairo, Fatheya el Sayed, una donna di 55 anni, ha cosparso la figlia sedicenne di kerosene e le ha dato fuoco lasciandola bruciare lentamente. Non c’era altro modo, secondo le dichiarazioni rilasciate dalla donna, di frenare le insistenze della figlia che voleva uscire di casa tutte le sere e aveva perfino programmato di andarsene a vivere per conto suo. Si sospetta che la ragazzina ribelle non volesse nemmeno portare il velo obbligatorio per le musulmane osservanti.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

La nonna

Carlo ha problemi con l’eroina, la nonna ha pochi soldi. Questa non li vuole scucire, quello non vede soluzioni al suo problema. Finisce per aggredire l’unico familiare rimastogli dopo la morte dei genitori. La vecchia chiama la polizia e il legame familiare s’interrompe con una denuncia per maltrattamenti.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

È stato lui, no è stata lei

Arrestati per l’uccisione della madre di lei, Nadia Frigerio e il suo fidanzato si palleggiano reciprocamente l’accusa di omicidio. Lo scopo sembra quello di ottenere l’uso di un appartamento in affitto. Siamo scesi di molto dai progetti di Maso che si aggiravano su di un’eredita di circa un miliardo.


[Pubblicato su “Canerero” n. 12 del 27 gennaio 1995, p. 7]

Piccole pietre

L’espresso Milano-Siracusa, nella notte del 30 gennaio, viene fatto deragliare poco prima della stazione di arrivo. Una fila di piccoli sassi è collocata sui binari in modo che lo scacciapietre (una sorta di paraurti che hanno i locomori) non possa spazzarle via proprio a causa della loro piccola dimensione.

Non è la prima volta che questo tratto di linea ferroviaria è interessato da atti del genere. Da un cavalcavia nei pressi di Augusta, a dicembre, vengono lanciati alcuni blocchi di cemento contro un treno in corsa. A Natale, due ragazzini sono fermati mentre lanciano pietre contro un altro treno.

I giornali parlano di un progetto architettato da una mente lontana e lungimirante, interessi oscuri, mafia e servizi segreti. Non c’è dubbio che esercitare le ipotesi, anche le più fantasiose, in questi casi possa essere utile, ma come principio mi sembra sia più importante guardare in faccia i singoli fatti.

E se veramente fossero ragazzini? Bambini mal cresciuti, alimentati da tutto quello che di bello produce la società in cui viviamo? Non è che sia molto difficile collocare sassi di qualche etto sui binari deserti e invitanti della ferrovia, magari a pochi metri da casa propria.

E per provvedere a un controllo, cosa si può fare? Pattugliare migliaia di chilometri di linee ferroviarie con la polizia a cavallo? Usare elicotteri e telecamere?

Mai come davanti a casi del genere siamo nudi, noi e la nostra presunzione di definire non ammissibili alcuni atti che consideriamo semplicemente assurdi. Ma il concetto di assurdo, per un ragazzino, non è lo stesso che abbiamo noi. Noi e lui abitiamo due pianeti diversi, e i segnali che dal nostro pianeta gli inviamo sono quelli della distruzione gratuita e della violenza senza scopo. Quali mezzi abbiamo per fermarli, se non riusciamo neanche a capirli?


[Pubblicato su “Canerero” n. 13 del 3 febbraio 1995, p. 11]

La colomba

Era entrata in una chiesa di Ello, un piccolo paese della Brianza, e non voleva più andare via. Dopo alcuni giorni il parroco don Angelo Mariani ha cercato di farla sloggiare ma inutilmente. Poi ha deciso di porre rimedio alle tracce di escrementi che il volatile andava disseminando in ogni angolo della chiesa: ha chiamato un cacciatore e l’ha fatta uccidere. Di che meravigliarsi?


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 6]

Nel quartiere

La presenza di un poliziotto di quartiere sembra essere l’ultima proposta del sindacato di polizia, in modo da garantire i sonni dei benpensanti. Il bobby potrebbe difatti non tanto risolvere i problemi della microcriminalità, ma collegare fra loro le intenzioni e le tendenze sbirresche di buona parte della popolazione benestante. I cittadini-poliziotti, spontaneamente disposti a collaborare avrebbero così un loro punto di riferimento, con cui fare amicizia e a cui confessare quotidianamente i propri sospetti. Insomma, un futuro sicuro per le strade della periferia infestate da spie e manutengoli.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 6]

Gli angeli

Si comincia da Milano. In genere si tratta di studenti universitari e operai di estrazione cattolica o ambientalista con esperienze nel volontariato. Se ne andranno in giro, addestrati nelle arti marziali e nel pronto intervento, disarmati ma capaci di bloccare e di aggredire qualsiasi comportamento sospetto. Poi, nelle loro smaglianti divise, chiameranno la polizia e completeranno il loro lavoro di prevenzione e repressione. In base al codice, difatti, qualsiasi cittadino può procedere ad un arresto se si trova di fronte ad un crimine evidente. Ma cos’è l’evidenza? Perché mai i Guardian Angels dovrebbero avere questa capacità che spesso molti specialisti non hanno? In più, se il poliziotto in divisa, fa il suo mestiere per guadagnare, questi lo fanno come “volontari”, quindi spinti da una molla ideologica che non potrà non dare i suoi frutti in termini di prevaricazione, ottusità da boy-scout e imbecillità di fanatici. Dopo Milano, entreranno in azione ben presto a Firenze, Roma e Napoli


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 6]

Senza patente

Fermato dalla polizia, gli sequestrano l’auto e la patente perché aveva bevuto troppo. Dopo la prova con l’etilometro lo rilasciano. Mauro si avvia a piedi sulla strada e, dopo poche centinaia di metri, s’impicca a un albero con la cinghia dei pantaloni. Una storia esemplare di ordinaria burocrazia.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 6]

In cella

Cardiopatico, malato di cirrosi e in attesa di trapianto del fegato, in carcere per detenzione di droga, era ospitato in uno dei peggiori carceri in assoluto, quello di Poggioreale. È morto sabato scorso, in cella. Per lui non ci sarà bisogno di nessun trapianto di fegato: è sempre un bel risparmio, non c’è che dire.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 6]

L’offerta di lavoro

Nei penitenziari disponibili centinaia di posti di lavoro. Si cercano dattilografi, autisti, elettricisti, muratori, idraulici, ma anche periti edili, elettronici, operai specializzati, infine psicologi, bibliotecari, architetti, laureati in giurisprudenza, scienze politiche, ecc. Lo Stato si sta attrezzando per bene. E poi dicono che c’è carenza di posti di lavoro.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 6]

Naziskin

In due aggrediscono un ragazzino per sottrargli le poche lire di un cornetto e di un caffè. Miserie quotidiane di periferia. A Latina la situazione però sembra non essere così semplice. Le bravate di questi ragazzi dalla testa pelata, con le loro simpatie per l’Inter o per la Lazio, si ripetono quotidianamente. Proprio questi due ragazzi, ingloriosamente attori della rapina del cornetto, hanno poco tempo fa aggredito l’imam di una comunità islamica vicino Roma.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 6]

Officina 99

Aderenti al centro sociale “Officina 99” di Napoli sono stati aggrediti dai fascisti, poi minacciati e infine arrestati dai carabinieri. Alcuni di loro si sono dovuti far medicare all’ospedale Pellegrini. L’aggressione è avvenuta mentre stavano affiggendo alcuni manifesti relativi a un concerto. I fascisti si sono presentati muniti di mazze e di catene. L’intervento dei carabinieri non ha minimamente disturbato i fascisti, che si sono poi tranquillamente allontanati, mentre gli aggrediti venivano identificati e portati in caserma. Più tardi c’è stata anche un’irruzione da parte della polizia nella Casa dello studente occupata e qui ci sono state altre identificazioni.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, pp. 6-7]

Mi umiliava

A Casapulla, in provincia di Caserta, Elpidio, un ragazzo di sedici anni ha ucciso nel sonno il padre con tre colpi di fucile calibro 12 e ferito la madre in maniera grave. Il padre lo umiliava sempre davanti a tutti, gli diceva continuamente che non era capace di fare nulla, che non andava bene a scuola e in nessuna altra cosa, nemmeno era buono a sparare, in quanto non aveva fatto propria la passione del genitore per la caccia. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il tentativo del padre di imporre con la forza al fratello più piccolo lo studio del pianoforte. Elpidio si è ricordato delle lezioni paterne sull’uso del fucile, che aveva mal digerito fin dal principio. Quelle lezioni si sono rivelate sufficienti.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 7]

Quattro galline

Tre uomini sono stati condannati dal tribunale di Cagliari a due anni di prigione per il furto di quattro galline avvenuto nelle campagne di Gonnosfanadiga nel dicembre del 1992. In aggiunta il pagamento di 800 mila lire di multa.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 7]

La pistola di papà

A Messina un ragazzino di 11 anni estrae in aula la pistola dal proprio zaino e la punta contro la professoressa di lettere nella scuola “Giovanni Pascoli”. Poi se la punta alla tempia minacciando di spararsi. La pistola era stata sottratta dal bambino al padre, un ricco commerciante della zona. La scuola si trova difatti in una delle zone migliori di Messina, abitata da famiglie facoltose e da ricchi bottegai. L’arma era scarica.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 7]

Consiglio d’Europa

L’Italia sotto accusa per il trattamento riservato ai detenuti nelle carceri. Maltrattamenti, percosse, situazioni igieniche arretrate, sovraffollamento, denutrizione, difficoltà nei contatti con i familiari e con gli avvocati, controllo ingiustificasto della corrispondenza. Questi gli elementi a carico, considerati fra i più pesanti fra tutti i Paesi occidentali, compresa la rigidissima Gran Bretagna. E la tortura? Nel dossier non se ne parla. Evidentemente non si tengono conto le camere di sicurezza delle forze dell’ordine, dove la tortura è pratica quotidiana per quasi tutti i fermati.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 7]

Guardiane del Palio

Nei classici scontri fra contradaioli, che sistematicamente si sviluppano nel corso del Palio di Siena, interverranno in futuro anche le vigilesse della città. Per questo motivo le brave donne stanno frequentando corsi di karate e di judo. Lo scopo è solo apparentemente quello di mantenere l’ordine in occasione del Palio, si vuole invece preparare meglio le componenti femminili del corpo dei vigili urbani di Siena a un’attività repressiva più efficace di quella che si è avuta finora.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 7]

Stadera

Il quartiere di Milano è stato assediato dalla polizia. Un pattugliamento che è durato più di un mese in modo quasi continuo. Migliaia di controlli sulle persone, centinaia di perquisizioni. Sono stati sgombrati 160 appartamenti occupati. In futuro non si faranno più operazioni di questa portata, ma interventi più piccoli: programmati in prospettiva circa sette-otto interventi di sgombero la settimana. Coordina l’operazione la Sit, cioè la Sezione di intervento sul territorio, voluta dall’ex ministro dell’Interno Maroni. Gli arresti veri e propri solo una ventina.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 7]

Libro di favole

Una bomba nascosta in un libro di favole è stata lasciata in un campo nomadi vicino a Pontedera. “Tortuga, impero della Filibusta” stava scritto sulla copertina. L’interno conteneva il sistema di esplosione a strappo e la carica. Un bambino di quattro anni, Matteo Sarkanonik, di origine bosniaca, è rimasto ferito gravemente ad una mano.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 7]

La sindrome di Nicholas

Un bambino americano, Nicholas Green, viene ucciso nel settembre scorso sull’autostrada Salerno- Reggio Calabria in un non ben chiarito tentativo di rapina. I genitori, acconsentono alla cessione degli organi del figlio morto. Fin qui un caso come tanti. L’uso che di questo fatto, orchestrato dalla lobby medica dei trapianti, per fini tutt’altro che umanitari, e dalla grande informazione, è qualcosa di esemplare.

Adesso i pazienti che hanno avuto i trapianti di occhi, fegato, pancreas, reni e cuore, prelevati dal bambino, sono diventati una specie di famiglia sui generis, mentre viene costruita attorno a loro una morbosa storia a puntate basata su di una pretesa comunità di sangue o, per meglio dire, di lacerti.

Anche i genitori di Nicholas sono al centro di attenzioni pubblicitarie, specialmente in Sicilia, dove il livello di donazioni è bassissimo, e le mire egemoniche del policlinico catanese, specialmente della sezione speciale “Trapianti” diretta dal Prof. Abbate, sono grandissime. È stato organizzato un giro turistico a favore dei coniugi Green, con tanto di ricevimenti da parte delle autorità cittadine, danze e cori folcloristici. Insomma quanto di meglio per pubblicizzare l’avvenimento e spingere alla donazione di organi.

Alcune statistiche, prestamente pubblicate dai quotidiani, parlano per gli ultimi tre mesi, di un aumento proporzionale di circa il 28 per cento nelle donazioni, sempre con le punte più basse in Sicilia e in Calabria.

Frattanto il Prof. Abbate è stato posto sotto inchiesta per brogli nella gestione del suo famoso Centro Meridionale Trapianti, struttura dell’Università di Catania, Facoltà di medicina.

Per un altro verso, sembra interessante anche la notizia di una ragazza che a Sora, in provincia di Frosinone, è tornata in vita e si avvia a una riabilitazione soddisfacente, dopo 200 giorni di coma profondo.


[Pubblicato su “Canerero” n. 14 del 10 febbraio 1995, p. 2]

Nella vigna del signore

Su ordine del sostituto procuratore della Repubblica di Firenze Ferrucci, alcuni redattori di “Canerero” sono stati interrogati dal capo della Terza Sezione dell’Antiterrorismo, Franco Gabrielli, il 1° febbraio scorso.

Come avevamo di già preavvertito nel n. 12 del nostro giornale, l’interrogatorio verteva su alcuni attacchi incendiari condotti contro la Standa del Cavalier Berlusconi, ex Presidente del consiglio della Repubblica italiana, oggi (in fondo) nostro collega di sventura perché anche lui, come noi, sottoposto ad avviso di garanzia e a indagini della benemerita magistratura italiana.

Ora, il grosso (e grossolano) magnate dell’informazione aveva avuto occasione di lamentarsi, in una famosa intervista al Financial Times, di subire danneggiamenti gravi contro la sua prediletta Standa, fino a calcolare che per il 1994, di certo il bilancio si sarebbe chiuso con una riduzione di circa un quarto dell’utile netto dell’anno precedente. Insomma qualche centinaio di miliardi.

Nella veste di esecutore di ordini, il funzionario che redigeva il verbale del nostro interrogatorio non poteva essere, al tempo, più conciso e più fantasioso: conciso nel numero delle contestazioni, fantasioso nel modo in cui le deduzioni sono state collegate insieme.

Per fare un esempio, dal resoconto di una conferenza da me tenuta a Tessalonica (Grecia) nel gennaio del 1993, si ricavava una descrizione delle posizioni teoriche dell’anarchismo insurrezionalista e, quindi, si parlava degli anarchici insurrezionalisti e delle loro tesi. Per conseguenza, secondo l’accusa sostenuta dal sopra lodato funzionario, ciò bastava a provare l’esistenza di un’organizzazione specifica clandestina denonimata “Anarchici Insurrezionalisti”.

Ma le amenità più colossali si avevano in merito a quanto registrato dalla spia elettronica collocataci in casa dai solerti funzionari della polizia di Firenze (ovviamente passando attraverso i muri in nostra assenza, come l’anima benedetta di San Girolamo de’ Liguori). Incredibili mozziconi di frasi dovrebbe testimoniare del nostro interesse, sospettoso e intrigante, per quanto ci viene contestato.

Nient’altro. Ma loro non demordono. La Vigna del signore continua a volere essere zappata fino in fondo. Altre registrazioni sono sul tavolo, altri interrogatori ci sono stati preavvertiti. Noi siamo qui.

E dire che amiamo il vino!


[Pubblicato su “Canerero” n. 14, del 10 febbraio 1995, p. 2]

Esecuzione a Bologna

Al momento in cui andiamo in stampa poche notizie sappiamo sull’esito del processo di appello di Bologna contro gli imputati per il sequestro Silocchi.

Unica notizia certa, appresa dai giornali (i quali hanno stranamente posto il silenziatore sulla faccenda) e dalla televisione, che non ha perso occasione per parlare, ancora una volta, con la spudoratezza di sempre, del fantomatico gruppo “Anarchia e provocazione”, è che tutte le condanne di primo grado sono state confermate, mentre l’assoluzione del compagno Giovanni Barcia è stata revocata e trasformata in una condanna in ergastolo, con in più un anno di isolamento diurno.

Torneremo sull’argomento con maggiori dettagli. Per il momento possiamo solo dire che l’insieme delle contraddizioni gravante sulle indagini, i sospetti di imbrogli voluti dagli inquirenti e la palese estraneità ai fatti di tutti gli imputati, sono stati assolutamente ignorati dai giudici, ai quali è interessato soltanto portare al massimo tetto ammissibile la pena per tutti, anche per l’unico imputato assolto in primo grado.

E tutto ciò con la migliore tranquillità d’animo.


[Pubblicato su “Canenero” n. 14, del 10 febbraio 1995, p. 3]

La fiera dell’orrore

Rosemary West è una donna sulla quarantina. A vederla si muove con l’andatura tranquilla di chi ha l’animo in pace. Occhialuta e pingue, per quel che i giornali asseriscono e il giudice Peter Badge dell’Alta corte di giustizia di Dursley in Inghilterra si accinge a dimostrare, Rosemary ha ucciso non meno di 12 ragazze, fra cui la propria figlia di 16 anni e una figliastra di 8. Nella cantina nella propria casa di Gloucester aiutava il marito a torturare e stuprare le ragazze e poi le uccideva.

Il signor West si è ucciso in carcere qualche tempo fa, la signora si accinge ad affrontare il processo.

E qui entra in gioco il sistema totale dell’informazione, la sua gestione di potere. Il meccanismo è sempre quello. Qualsiasi notizia, anche la più spaventosa, viene trasformata in prodotto da commercializzare e, nel far questo, viene privata di qualsiasi contenuto in termini di idee e di concetti. Resta solo l’involucro vuoto di un’opinione. Così, la piccola cittadina di Dursley è stata trasformata in una fiera domenicale. Giornalisti di tutto il mondo si sono dati convegno per assistere all’apertura del processo. Il tribunale è stato transennato, mentre in tutto il paese è stato posto il divieto di posteggiare le macchine. Una scuola vicina ha deciso di mettere in vendita posti macchina nei propri cortili a 50 sterline al giorno. Le case vicine al tribunale hanno affittato camere a prezzi superiori alle 100 sterline al giorno, per non parlare dei pochi alberghi che stanno facendo una fortuna. I pub vendono alcolici anche fuori orario, su permesso speciale delle autorità (in Gran Bretagna la vendita cessa alle 11 di sera). Infine un sistema audio è stato installato per consentire l’ascolto del dibattito in tutta la piazza.

Forse non sapremo mai cosa si nasconde dietro il sorriso di Rosemary, ma sappiamo fin troppo quello che si trova nella testa di tutti gli imbecilli che si sono dati convegno a Dursley.


[Pubblicato su “Canerero” n. 15 del 17 febbraio 1995, p. 2]

Un’ordinata struttura di violenza

Se volete il bordello, dovete pagarvelo. Questo in sintesi il contenuto del recente decreto ministeriale contro gli scontri settimanali negli stadi. La morte di un tifoso genoano, tre settimane fa, ha dato il via a un insieme di chiacchiere che non si vedeva da diverso tempo. Tutti hanno detto la loro, lasciandosi sfuggire, di tanto in tanto, qualche mezza verità: esiste un rapporto stretto tra società di calcio e organizzatori delle tifoserie. Adesso il governo vuole metterci ordine.

Come tutte le faccende di polizia, questo intervento nasce a posteriore, non tocca il vero problema, ingigantisce le conseguenze, produce una esacerbazione del metodo e della struttura repressiva. Dall’iniziativa la polizia ne esce rafforzata, gli agenti in divisa, di ogni ordine e grado, hanno assicurato lo straordinario che contribuisce in modo non indifferente ad alzare il loro stipendio, le società mantengono i rapporti con i tifosi che per loro sono essenziali in quanto il calcio resta sempre un grande spettacolo a pagamento, i tifosi da parte loro hanno lo sfogo di picchiarsi di santa ragione agli ordini di qualche capobanda di periferia che vende questa carica esplosiva al migliore offerente.

Per i presidenti delle società, che adesso alzano la voce come se fossero stati punti da una vespa, si tratta di aumentare un pochino i costi. Per gli organizzatori degli scontri si tratta solo di trovare migliori acquirenti, possibilmente in fasce politiche disponibili all’acquisto di manovalanza. Per i poliziotti di incassare qualche spicciolo, e qualche bastonata. Per i ragazzi di periferia di non perdere la loro occasione di sfogo settimanale. E tutto torna in ordine nel più ordinato dei mondi possibili.


[Pubblicato su “Canerero” n. 15 del 17 febbraio 1995, p. 5]

La traccia delle idee

Aprendo la porta, Francesca Conti si è trovata di fronte uno sconosciuto che ha cominciato a picchiarla con rabbia e decisione, inseguendola fin dentro la casa e continuando a pestarla anche con un bastone. Adesso lei si trova all’ospedale di Bologna ricoverata in gravi condizioni. L’aggressore è sparito nel nulla, come si dice senza lasciare traccia.

La traccia l’hanno lasciata comunque le sue idee. Francesca era colpevole di avere sconvolto in tanti modi la perbenista Bologna. Dapprima con una serie di manifesti diretti a pubblicizzare le sue scelte sessuali. Poi con ben 70.000 volantini distribuiti attraverso i poni-express nelle cassette della posta di tutta la città. Infine incatenandosi nuda di fronte ad un liceo per protestare contro gli arresti delle prostitute della zona, ordinati dalla non mai sufficientemente lodata questura bolognese. Un interlocutore difficile, Francesca, non c’è che dire.

L’aggressione è di certo da collegarsi con queste prese di posizione.


[Pubblicato su “Canerero” n. 16 del 24 febbraio 1995, p. 7]

Faccende notturne

Il quartiere di San Saba, a Roma, la notte pullula di ospiti indesiderate, che si allineano sul bordo dei marciapiedi. Indesiderate lo sono a quel che asseriscono i rappresentanti del quartiere, altri la pensano diversamente. Ma il nostro mondo non è aperto alla diversità dei gusti e delle tendenze.

Se una volta erano i fascisti di Buontempo a organizzare le ronde notturne a colpi di bastoni, adesso sono i democristiani del Ppi, guidati da un uomo politico in erba, tale Dino Gasperini, a formare queste ronde. Loro, da bravi cattolici, non picchiano subito, aspettano, prima di mettere mano ai bastoni, aspettano di esercitare una pressione etica, quella dello sdegno per la morale offesa, naturalmente la loro morale, la morale cattolica che ottusamente si è da sempre chiusa nei propri schemi.


[Pubblicato su “Canerero” n. 16 del 24 febbraio 1995, p. 7]

Una condanna per bestemmia

Accusati di avere lanciato dei foglietti di carta con scritte blasfeme nella moschea del loro villaggio a Lahore, capitale del Punjab, importante regione del Pakistan, un bambino di quattordici anni, Salamat Masih, e suo zio, Rehmat Masih, sono stati condannati a morte.

Quasi di certo dietro questo fatto che ci arriva filtrato dalla lontananza e dalla differenza di cultura, si nascondono altri elementi, quali la lotta fra la minoranza cristiana e la maggioranza musulmana, e difatti i due condannati appartengono a un gruppo di religione cristiana. Ma il punto non è questo, resta il fatto che la condanna per bestemmia contro un ragazzino è possibile soltanto di fronte a un crescere a dismisura della mentalità fondamentalista di qualsiasi tipo. Nel caso in questione di quella islamica.

Credo che anche il nostro codice punisca la bestemmia in luogo pubblico. Sono certo che ci sono stati processi in Italia per offesa alla divinità (chi scrive ne ha subito tre), per cui sul piano della teoria, se non su quello dell’entità delle condanne, la differenza non esiste. In più, la tradizione cattolica dovrebbe rammentarsi meglio dell’Inquisizione, e di quanto poco sia stato fatto all’interno delle strutture della Chiesa per abbattere i presupposti ideologici che la resero possibile. La barbarie non è solo quella degli altri.


[Pubblicato su “Canerero” n. 16 del 24 febbraio 1995, p. 7]

Senza seme

Gli spermatozoi possono andare in pensione. Ricercatori giapponesi hanno messo a punto un sistema per fare concepire un figlio a una donna senza il contributo del seme maschile. Siamo vicini alla partenogenesi. Per il momento l’esperimento è limitato a 90 donne, ma ci sono di già lunghe liste di attesa. Il metodo si realizza in due fasi: prima si identifica e si preleva il carico di geni che lo spermatozoo contiene nella parte centrale, poi si trasferisce questo carico nell’ovulo mettendo in moto il processo di divisione che dà inizio al concepimento.

Non è ancora certo in che modo si possa determinare il processo di maturazione della cellula germinale, e inoltre si apre una serie di perplessità su possibili condizionamenti futuri del bambino: selezioni, interventi sul patrimonio genetico, e tutto il resto.


[Pubblicato su “Canerero” n. 16 del 24 febbraio 1995, p. 7]

Quello che conta

La famiglia De Megni occupa un largo spazio sociale ed economico nella Perugia di oggi. Il nonno, una delle più alte cariche della massoneria italiana, aveva fondato il Banco De Megni, poi diventato Banco di Perugia, e ora entrato a fare parte della grande holding della Banca di Roma, come dire quanto di peggio ci sia nel campo finanziario italiano. Accusato del reato di usura, il vecchio è stato costretto a ritirarsi dalle proprie lucrose attività. Il figlio Dino ha adesso vinto il processo contro la moglie separata, cui è stato tolto l’assegno perché quest’ultima intratteneva una relazione con un altro uomo. Il figlio di Dino è conosciuto alla cronaca per essere stato rapito qualche anno fa.

Quello che conta per questa famiglia è la proprietà che possiede: nulla deve essere intaccato. Né i soldi, che quando vennero richiesti per far tornare il piccolo Augusto a casa il padre fece mille storie per non pagare; né la moglie separata, che non deve essere accostata da un altro essere umano; né il potere locale che la famiglia gestisce da decenni in maniera dispotica nella piccola e tranquilla città di provincia.


[Pubblicato su “Canerero” n. 16 del 24 febbraio 1995, p. 7]

Un gioco

Da più di trent’anni negli USA viene utilizzato per passare il tempo un gioco che si chiama “Kaos”, dalle iniziali della frase americana: Uccidere come sport organizzato – Killing As an Organized Sport.

L’idea del gioco è quella di dare la caccia a una vittima umana, la quale è costretta a fuggire e a difendersi. Tutte le tecniche impiegate nel gioco hanno spesso un precedente reale sia nelle pratiche delle SS naziste, sia in quelle del Ku Klux Klan.

Qualche anno fa un esperto di giochi ha modernizzato il sistema e lo ha chiamato “Killer”. Da questo gioco adesso è stato prodotto anche un manuale per uccidere, che si è venduto moltissimo. La copertina del manuale recita: “Non c’è nulla come il brivido che ti dà il far fuori un amico”.


[Pubblicato su “Canerero” n. 16 del 24 febbraio 1995, p. 7]

Nelle nostre mani il nostro destino

L’America torna alla legge di Lynch. La molla è quella dell’insicurezza, della paura. Di fronte a sempre crescenti fasce sociali che non hanno quasi più nulla e che si affacciano minacciosamente sulla soglia dei desideri, anche di quelli considerati illegittimi e anormali, la gente che si trova ancora al di dentro di certe condizioni di garanzia e di “normalità”, si sente aggredita.

Nel Texas è stato costituito il gruppo “Dead Serious” (Facciamo sul serio), che promette 5.000 dollari di ricompensa a chi uccide a norma di legge il colpevole di un crimine. In 24 Stati dell’unione esistono gruppi armati che prendono il nome di “milizia civile” e che arruolano più di 50.000 aderenti. Ognuno di questi fanatici è accuratamente preparato a colpire tutto quello che non risulta gradito ai suoi occhi. La preparazione non è solo di natura ideologica, ma anche militare.

Un’altra struttura del genere si chiama “Unorganized Militia of the United States”, è diretta da una donna ed è diffusa anche a livello di più Stati, questa pretende di dirigere una sorta di federazione di gruppi armati, ma il fatto non è accertato.

La “Milizia del Michigan del Nord” è diretta da un certo Olson che ha prodotto una videocassetta dal titolo: “America in pericolo”. Olson è uno dei sacerdoti della Chiesa Ariana, di religione cristiana e di tendenza, come si può immaginare facilmente dal nome, razzista.

Un’altra organizzazione “ariana” è costituita dai “Guardians of American Liberties”, la quale afferma di possedere anche una struttura armata clandestina, finanziata quest’ultima dalla National Rifle Association, cioè dall’associazione dei produttori di armi.

La “Florida State Militia” raggruppa non meno di 500 aderenti, ed è un gruppo razzista anti-ebreo e anti-nero che pubblica libretti di propaganda e organizza preparazioni para-militari.

In Arizona esiste la “Police Against The New World Order” (Polizia contro il nuovo ordine mondiale) che raggruppa molti ex berretti verdi della guerra in Vietnam.

Ancora in Texas esiste la “The Lone Star Militia”, i cui dirigenti affermano di guidare più di undicimila uomini. La maggior parte degli aderenti ha avuto un passato nel Ku Klux Klan.

Le aspirazioni di queste strutture armate e para-militari si riassumono nell’ideologia repubblicana che in America afferma il diritto del cittadino di difendersi da se stesso contro le aggressioni. La polizia di Stato americana, nella massima parte dei suoi componenti, è d’accordo con queste idee, come dimostra il fatto che molti poliziotti fanno anche parte clandestinamente di queste strutture.


[Pubblicato su “Canerero” n. 17 del 3 marzo 1995, p. 7]

L’altezzosa bestialità del comando

Nicola Fera è un avvocato civilista di Roma, con avviato studio in città e con proprietà nella originaria Calabria. Insomma un esemplare della benestante fascia media che da sempre ha approfittato delle condizioni di miseria di chi è costretto a lavorare per vivere.

Questa gente è di regola cortese, altezzosa ma educata; non va facilmente in escandescenze; accetta assai spesso di interessarsi, con parsimonia, dei problemi degli altri. Ma non bisogna contrariarla. In questo caso, tutta la bestialità del comando si risveglia in loro.

A dirne quattro al signor avvocato ci ha provato un povero giardiniere polacco: Marek Luszcz, che pretendeva il pagamento di centocinquantamila lire per la potatura di alcuni alberi nella proprietà di Nicola Fera. Il professionista non era d’accordo, il giardiniere insisteva. Conclusione: l’avvocato ha preso un bastone ed ha massacrato di botte il giardiniere, fino ad ucciderlo.


[Pubblicato su “Canerero” n. 17 del 3 marzo 1995, p. 7]

Venga a ritirare il premio

Scotland Yard, come tutte le polizie del mondo, ha il problema dei latitanti per piccoli reati. A Sheffield lo ha risolto in modo nuovo. Vediamo quale.

A nome di una ditta fantasma, la “Mison Geiwold”, ha inviato al domicilio dei ricercati una lettera nella quale avvertiva della vincita di un premio: televisori, videoregistratori, ecc.

Una cinquantina hanno ricevuto l’avviso: piccoli truffatori con condanne definitive, qualche carcerato dileguatosi durante un permesso, una serie di supermultati recidivi nel mancato pagamento (in Gran Bretagna è previsto il carcere in questi casi). Ben trentuno di loro si sono presentati a ritirare il premio: un bel paio di manette.


[Pubblicato su “Canerero” n. 17 del 3 marzo 1995, p. 9]

L’ultima ragione

Lo Stato di New York è stato il trentasettesimo a riammettere la pena di morte, dopo una sospensione che durava dal 1972. Adesso soltanto 13 Stati USA la respingono. Il mondo si divide in un dibattito che grosso modo schiera i reazionari a favore della pena di morte e i progressisti contro. Questo dibattito, per molti aspetti, ha fatto il suo tempo.

Facciamo alcune considerazioni, per forza di cose non approfondite. Di regola, i paesi dove si ha la pena di morte sono proprio quelli che applicano anche condizioni di carcerazione fra le più dure. Ciò fa velo al problema, in quanto resta discutibile il considerare la vita passata alla catena (nel senso letterale del termine) meglio della morte.

Quasi sempre, i critici della pena di morte sono sostenitori di una pena adeguata, cioè di un sistema giudiziario e carcerario di natura punitivo-correttiva, cioè basato sul fatto che se contravvieni alle regole sociali devi pagare, e sulla conseguenza (tutt’altro che ragionevole) che pagando puoi redimerti.

La crudeltà di cui lo Stato fa mostra non è tanto nell’uccidere, ma nell’uccidere a sangue freddo, cioè con tutta la messa in scena e le precauzioni di legalità delle quali si prende cura, allo scopo che tutto sia in regola: che il detenuto condannato a morte, muoia di morte legale. Lo stesso boia si sente a posto con la propria coscienza, e in un mondo in cui tutti blaterano sulla santità della vita, spinge il pistoncino dell’iniezione letale senza pensarci due volte.

Le condanne a morte non sono un deterrente, costituiscono la conferma indiretta della non validità (tutt’altro che evidente di per sé) della pena, del sistema giudiziario in astratto, cioè del diritto dello Stato di costituire, mantenere e perfezionare, un sistema di prevenzione, controllo e condanna dei comportamenti che sfuggono alle regole imposte. Il boia è l’ultima ragione delle ragioni istituzionali, forse nemmeno la più convincente.


[Pubblicato su “Canerero” n. 19 del 17 marzo 1995, p.7]

Dietro il velo dei ROS

Un maresciallo dei carabinieri si suicida a Terrasini. Terra di mafia e di imbrogli più o meno evidenti, a pochi passi da Palermo. A premere il grilletto, si fa per dire, sembra sia stata una dichiarazione televisiva del sindaco Orlando riguardo possibili collusioni del bravo carabiniere con la mafia non solo locale ma anche internazionale. Il nome di Badalamenti non viene fatto a caso.

Un intruglio dove avremmo poco da dire. Ci potremmo limitare a ripetere qui le parole scritte da Zo d’Axa a proposito di Dreyfus: Non so se il capitano è colpevole o innocente, so solo che è un capitano dell’esercito.

Ora, il bravo carabiniere faceva anche parte dei Ros, (alcuni elementi di questa benemerita organizzazione parallela dello Stato ci hanno fatto visita recentemente in quel di Rovereto, come abbiamo scritto nello scorso numero di “Canerero”), e i Ros si dedicano a lavoretti quasi sempre poco puliti. Ma che cosa importa ciò? L’accusatore, Orlando, esponente della Rete, è di certo persona altrettanto indegna e poco raccomandabile. Quando gente simile si scontra a livello pubblico, può succedere di tutto, anche che uno di loro, spesso il meno peggio (ma la cosa non ha importanza) si tira un colpo di pistola in bocca.

In questo caso (si fosse anche trattato di Orlando invece del bravo carabiniere) l’istituzione corre subito ai ripari. Garantisce a priori, copre a priori, santifica a priori. Nulla sfugge alle sue dichiarazioni, nulla del passato (per forza di cose poco chiaro) e del futuro (di certo anch’esso per niente chiaro). E in questo chiarore soffuso, passa solo la volontà istituzionale di affermare la propria immagine immacolata.


[Pubblicato su “Canerero” n. 19 del 17 marzo 1995, p. 7]

Dieci piccoli periti

Per quindici anni, su Ustica ci hanno imbrogliato. Dopo quindici anni, su Ustica continuano a imbrogliarci. Di tutti quei poveri disgraziati morti nessuno parla più. Leggendo i giornali oggi nemmeno si ricordano quanti erano e il modo con cui sono stati uccisi.

Se non sappiamo ancora chi e perché ha sparato il missile che ha condannato a morte un aereo di linea dell’Itavia, lo dobbiamo a tutti i tentativi, costanti e sistematici, dell’aviazione militare italiana di insabbiare ogni prova, di stornare ogni attenzione, di nullificare ogni sforzo.

Non che una volta provata la colpa di qualcuno lo Stato, per mano dei suoi rappresentanti, poteva fare qualcosa, qualcosa di concreto voglio dire, ma anche quel poco che poteva fare (ad esempio una condanna simbolica come nel caso del tenente Viviani uccisore dei ragazzi di Bologna), avrebbe disturbato l’immagine dell’istituzione, la figura gloriosa e integra dell’areonautica militare.

È di qualche giorno fa la notizia che 10 periti, nominati per analizzare i resti dell’aereo abbattuto nei cieli di Ustica, hanno avvertito i generali dell’aviazione italiana delle conclusioni delle loro analisi, prima dei giudici di competenza. Piccolezze, qualcuno potrebbe pensare. E di fatti sono piccolezze, ma danno il senso di come funzionano e si autoassolvono le strutture dello Stato.


[Pubblicato su “Canerero” n. 19 del 17 marzo 1995, p. 7]

Solo cinque marchi

A Belgrado i venditori ambulanti di armi offrono di tutto. Dalle pistole ai mitra, alle bombe a mano. Gli acquirenti sono quasi sempre adulti che usano questi aggeggi per i loro traffici, o per regolare i loro problemi. Ma le bombe a mano, dal prezzo al pubblico di soli cinque marchi tedeschi l’una, vengono sempre di più richieste dai bambini che sembra si divertano moltissimo a farle esploderle, e spesso a esploderci insieme.

Uno di questi bambini è tranquillamente entrato in un supermercato e esibendo la sua brava bomba a mano ha imposto la consegna immediata di una tavoletta di cioccolato, quella di formato gigante. Poi ha promesso, con atteggiamento truce e determinato, che sarebbe tornato ogni mese a estorcere il malloppo.

Sembra che gli astanti siano rimasti indecisi tra la paura e lo sbalordimento. La polizia sta svolgendo indagini, ma all’appuntamento mensile il rapinatore non si è ripresentato.

Bambino, ma non stupido.


[Pubblicato su “Canerero” n. 20 del 24 marzo 1995, p. 7]

Un affettuoso sentimento di orrore

A Pisa un bambino di cinque anni è stato legato e imbavagliato dalla madre, poi picchiato a lungo e in maniera pesante con uno zoccolo di legno.

A Palermo, una bambina malata di leucemia è stata legata al letto dalla zia e picchiata duramente con un tubo di gomma.

A Hartford, nel Connecticut (USA), un uomo ha picchiato la figlia di nove mesi fino ad ucciderla. Qualche mese prima gli aveva rotto una gamba, ma la moglie aveva detto ai medici dell’ospedale che si era trattato solo di un incidente.

Adesso lo Stato è intervenuto applicando la solerzia della legge, portando i bambini in strutture specifiche dove verranno provvisoriamente curati per essere poi consegnate ad altre famiglie che magari non li picchieranno ma li ridurranno in servitù in mille altri modi, confezionandoli per la futura vita in società.

La violenza sui bambini, all’interno della famiglia o altrove, nella scuola ad esempio, è la stessa violenza istituzionalizzata che regge la società nei suoi mille aspetti. Ma quando, nel suo orrore singolo, viene alla luce, gli occhi dei benpensanti inorridiscono.

La zia di Palermo è una carceriera senza uniforme, come la madre di Pisa. Poveri esseri decidui che senza stipendio massacrano solo per stornare sugli indifesi la propria porzione di violenza subita, queruli aborti d’umanità che comunque rappresentano tutti noi, nella nostra persistente incapacità di vivere.


[Pubblicato su “Canerero” n. 20 del 24 marzo 1995, p. 7]

Senza sapere perché

In una cittadina del Minnesota (USA), un ragazzo di quattordici anni ha ucciso a pugnalate una bambina di quattro affidatagli da una coppia di coniugi che aveva deciso di andare al cinema. Al ritorno i due hanno trovato la piccola morta nel letto e il ragazzo che ha dichiarato di non sapere il motivo dell’uccisione. Niente di niente. Né il pathos del derelitto, né la freddezza del sadico. L’assenza di motivi plausibili ha messo in crisi gli slogan persuasivi e dignitosi degli interpreti.

Un esercito di psichiatri e psicologi, assistenti sociali e poliziotti si è messo in moto. Killer e mandanti di assassini essi stessi. Quasi tutti i settori in cui si suddivide la società di fantasmi che abbiamo fin qui costruito, si sono messi in moto sia per condannare (inorriditi) questo fatto, sia per spiegarlo, sia per sminuzzarlo in briciole di opinione con cui gestire il cervello della gente.


[Pubblicato su “Canerero” n. 20 del 24 marzo 1995, p. 7]

Una faccenda marginale

A San Donato Milanese cinque ragazzi sui vent’anni hanno ucciso a pugni e a calci un barbone che poco prima aveva rivolto qualche parola a una ragazza loro amica. Così, cinque imbecilli di periferia, con la smania del “giustiziere”, sono ora al centro delle attenzioni del paese, e non solo, in quanto anche i giornali cercano di suggerire l’ipotesi di una fondatezza, se non altro difensiva, di un avvenimento del genere.

Il barbone è un uomo “segnato”, sotto molti aspetti, se poi è anche un tossico che si avvilisce in solitudine, saranno molte le brave persone che si sentiranno d’accordo con l’idea di dargli una buona lezione. Certo, arrivare a ucciderlo, questo forse no. Ma fino a quando? Qual è l’angusto confine tra la bastonatura e il brutale ammazzamento?

In fondo si è trattato di un incidente. E per qualcosa di così marginale, quasi quasi non vale nemmeno la pena di parlarne, dicono in molti, cercando di non pensare a niente che possa loro rovinare la digestione. E con questo, senza saperlo, saldano il cerchio di un sistema sociale chiuso che riproduce con ferocia la propria ferocia, in attesa che altra ferocia.


[Pubblicato su “Canerero” n. 20 del 24 marzo 1995, p. 5]

Le braghe di Balla

La nipote del celebre pittore futurista Balla ha fatto una statua in bronzo, né bella né brutta, pesante tre quintali, desiderosa di rassomigliare all’idea che la gente comune si è fatta di Adamo ed Eva, nudi, naturalmente.

Il gruppo bronzeo, se ne stava immobile in un angolo di via del Mascherino, a Roma, nei pressi di San Pietro, quando, una malaugurata mattina, da quelle parti transita un diplomatico vaticano, Mons. Renato Martino, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite.

Il prelato sonnecchia nella sua auto blu, poi si sveglia di colpo turbato dalle curve del nudo, e ricordandosi dell’aulica tradizione di Santa Romana Chiesa in materia di qualsiasi idea di libertà, anche di quella che con difficoltà cercava di farsi strada attraverso l’impacciata sagoma del gruppo scultoreo, ne ordina l’immediata copertura.

Il capolavoro della signora Colabucci Balla viene imballato (strana la sorte delle parole) come un salame e confinato in un garage.

Si stanno confezionando opportuni braghettoni per coprire le nudità di Eva e di Adamo.


[Pubblicato su “Canerero” n. 22 del 7 aprile 1995, p. 7]

Quel che c’è di diverso

La Svezia è uno dei paesi del diritto. Ma nei suoi codici c’è una piccola legge, risalente al XIX secolo, e opportunamente aggiornata proprio qualche anno fa, che consente l’imprigionamento a vita (senza giudizio e senza sentenza) se si è portatori di malattia infettiva ed epidemica. Come l’Aids, per l’appunto.

Adesso una cinquantina di persone si trovano rinchiuse nell’ospedale psichiatrico di Beckomberga, alla periferia di Stockolm, perché sieropositive. Si tratta di prostitute, tossicodipendenti e profughi africani (questi ultimi sono circa venticinque).

I padiglioni dell’ospedale funzionano come un carcere, hanno le sbarre e i detenuti sono custoditi a vista. L’ideologia preventiva è molto forte in paesi come la Svezia, ma anche altrove non trova reali ostacoli. La paura del diverso viene a galla in molti modi.


[Pubblicato su “Canerero” n. 24 del 21 aprile 1995, p. 3]

Vermi a norma di legge

Nel mondo si tortura dappertutto. Si uccide dappertutto.

Il carabiniere che ha ucciso in caserma, con un colpo di pistola alla testa, Tarzan Sulic, un bambino Rom di 11 anni, è stato condannato a 17 mesi per omicidio colposo, in altre parole come se l’avesse investito accidentalmente con la propria auto. Adesso il carabiniere è stato trasferito altrove, a continuare il suo lavoro. Tutto, dall’esecuzione del bambino alla condanna del carabiniere, si è svolto a “norma di legge”.

Nel Burundi, la polizia tortura nelle caserme usando un tipo speciale di bastone che si chiama “indembo”. Questo bastone viene prodotto da una ditta francese, ma per essere efficacemente usato, ha bisogno di spiegazioni tecniche. La ditta ha provveduto a spedire alcuni tecnici specializzati che quindi stanno adesso lavorando nelle prigioni e nelle caserme del Burundi per addestrare i torturatori. Un lavoro come un altro, a “norma di legge”.

I reparti speciali serbi che operano nella ex Jugoslavia, e che con maggiore efficacia e continuità di altri reparti speciali che operano su tutti i fronti in guerra fra loro, si dedicano alle esecuzioni di massa, agli stupri, alle torture e a quanto altro necessario alle operazioni di pulizia etnica, vengono mandati al lavoro praticamente ubriachi. Gli ufficiali serbi, in una recente conferenza “operativa”, hanno fatto dichiarazioni che più o meno si possono riassumere in questo concetto: “I soldati diventano veramente tali soltanto quando sono ubriachi. I soldati ubriachi hanno l’attitudine giusta verso il nemico, diventano coraggiosi e si esaltano. I ragazzi di città fumano l’erba. Se niente intorno a loro ha senso, allora uno spinello e l’elmetto in testa gli danno l’illusione del Vietnam visto nei film di Hollywood, con un pizzico di rock’n’roll”.

Ma l’alcol certe volte non basta e occorre qualcosa di più sostanzioso. Per sgozzare, macellare corpi umani o sparare alla nuca occorre uno stomaco preparato. A questo scopo vengono forniti dei sedativi come le pillole verdi di Apaurin, o dosi opportunamente di già preparate di eroina. Tutto questo, fornitura e consumo, a “norma di legge”.


[Pubblicato su “Canerero” n. 24 del 21 aprile 1995, p. 2]

Un morso al seno dell’FBI

A furia di guardare lontano l’America non riesce più a vedere cosa cova nel proprio ventre.

Un ventre purulento di astio e di insoddisfazione, di desiderio di vendetta contro tutto e contro tutti, di amore per la conquista e il predominio, di sprezzo per tutti i sentimenti che fanno l’uomo degno di essere guardato in faccia.

Non tutta l’America, certo, ma una grossa fetta della sua popolazione sì. Non le classi benestanti soltanto, che spesso sono tanto interessate al guadagno e alla propria difesa da non pensare ad altro, ma alcune classi medie, specie nel Sud del Paese, in quelle grandi estensioni agricole, dove ancora il negro è schiavo di fatto anche se non di diritto, e dove la schiavitù come legge è stata abolita soltanto pochi mesi fa.

In questa immensa palude malsana si muovono centinaia di migliaia di persone che del mito di Rambo hanno fatto una propria meta personale. Si tratta di stupidi fantocci senza testa che riversano il loro odio dentro organizzazioni paramilitari come la “Milizia del Michigan del Nord” (vedi su “Canerero” n. 17, p. 7), di cui sembra faccia parte uno degli arrestati secondo quel che riportano le cronache. Nazisti e razzisti vengono considerati da tutti “bravi americani orgogliosi di esserlo”.

Di più, è proprio fra questa brava gente che l’FBI, come per altro la CIA o l’esercito stesso, si rivolgono quando hanno bisogno di portare a termine un “lavoretto sporco”, ed è a loro che fanno un “contratto”, utilizzandoli per uccidere, stuprare, saccheggiare, terrorizzare, non solo in casa propria ma in tutto il mondo.

Adesso uno, o alcuni, di questi ragazzi dabbene, hanno morso il seno della propria madre, sono andati a collocare un ordigno micidiale sotto il culo dell’FBI, ad Oklahoma City. Le serpi, a covarle in seno, prima o poi danno morsi, e questi morsi quasi sempre sono micidiali.

Ora, un grande cordoglio copre l’America. Il suo Presidente piange in diretta per tutti quei poveri americani morti, per i bambini massacrati, per gli innocenti che senza saperlo hanno perso la vita all’interno del palazzo dell’FBI. I “mostri” hanno colpito, si grida a destra e a manca. Mentre nessuno trovava lacrime quando questi stessi mostri, in fulgide divise, andavano ad ammazzare i bambini a casa degli altri.

Triste ironia della commozione.


[Pubblicato su “Canerero” n. 25 del 5 maggio 1995, p.2]

Il sapore della paura

I padroni del futuro USA scoprono ogni giorno di più di avere paura. Niente combacia nel quadro delle certezze. Improvvisamente mostri dalle mille teste si sollevano e colpiscono. Mostri imprevedibili e incontrollabili. L’esplosione della sede dell’FBI è rimasta nella retina di tanti Americani che chiedono, di conseguenza, un maggiore controllo, più visibili sanzioni.

Occorre rendere visibile il senso repressivo della prigione, mettere da parte una volta per tutte il suo alibi ortopedico. In carcere non si educa, si spezza la coscienza dell’individuo, e anche il suo fisico. Ecco quindi che il governatore dell’Alabama Fob James ha autorizzato il ripristino dei ceppi ai piedi dei detenuti condannati ai lavori forzati. La catena, è stato precisato dall’ufficio stampa del governatore, non è affatto penosa da sopportare, ha una lunghezza di due metri e un peso di dieci chili complessivamente. Certo, ha dovuto ammettere il portavoce di James, lavorando all’aperto per raccattare le immondizie, specialmente nei giorni di caldo finisce per diventare pesante sopportarla per 12 ore al giorno con un breve intervallo per il pasto, ma è proprio questo lo scopo che si vuole raggiunge, quello di dissuadere dal crimine.

Un altro segno della paura è dato dalle condanne che diventano incredibili anche per piccoli reati. Ad esempio, Jed Harlan Miller, arrestato in un campus dell’università di Stanford, in California, per avere rubato due biciclette, è stato condannato all’ergastolo trattandosi del terzo furto consecutivo.

Infine il cambiamento del colore delle divise degli agenti FBI. È stato scelto il nero, quindi i poliziotti dell’Ufficio federale si presentano come tanti Ninja che intimoriscono i delinquenti. La tesi che il nero possa incrementare l’effetto di intimidazione può sembrare stravagante, ma è stata seriamente teorizzata dai tecnici dell’FBI che hanno realizzato il cambiamento di immagine.


[Pubblicato su “Canerero” n. 26 del 12 maggio 1995, p. 5]

Dove sono i massacratori?

Il Papa se ne va in giro a propagandare la pace, l’ascetica Pivetti parla di conversazioni con l’angelo custode, tutti assicurano l’assoluta estraneità ai massacri che quotidianamente vengono attuati nel mondo. Eppure esiste una relazione annuale sulla produzione e il commercio delle armi, relazione che viene presentata al parlamento e, prima ancora, alla presidenza del consiglio dei ministri, relazione su cui i parlamentari, sotto gli occhi celestini della Pivetti, e con l’avallo del suo angelo custode, si riuniscono e discutono, approvandola, beninteso.

Sembrerebbe che in Italia non ci siano settori dell’economia nazionale che producono armi, industrie con decine di migliaia di operai che lavorano nel settore militare. Sembrerebbe, ma non è.

Siamo noi tra i maggiori fornitori di armi alla Turchia, e questa li usa primariamente nella repressione contro i Kurdi. Esportiamo armi nel Pakistan, nel Congo, a Singapore e in Indonesia per una media di circa 80 miliardi annui per ciascuno di questi paesi. Esportiamo armi principalmente in Gran Bretagna e in Arabia Saudita.

Per un altro aspetto, le industrie delle armi sono all’avanguardia sia nella ristrutturazione del loro sistema produttivo (quindi diminuzione delle occupazioni e robotizzazione degli impianti). Quest’ultimo aspetto, ma si badi bene solo quest’ultimo aspetto, ha fatto alzare la voce dei sindacati, i quali si sono chiesti, e hanno a tale scopo attivato gli organi di controllo (che non controllano per niente) dello Stato, se valeva la pena di difendere dal punto di vista occupazionale questo settore che produce una sempre minore richiesta di posti di lavoro.

Un considerevole importatore di armi, per come appare nella relazione parlamentare del settore, è l’Antartide. Ma chi potranno essere mai i paesi che si nascondono dietro di essa? Nessuno riesce a rispondere a questa domanda, anche perché si conoscono bene i movimenti trasversali attraverso i quali un paese compra a proprio nome e poi dirotta, guadagnandoci sopra, nei paesi più esposti dal punto di vista dei conflitti ufficialmente dichiarati.

L’attuale manodopera del settore di produzione delle armi è di 40 mila dipendenti.

L’Italia, nel 1994 ha esportato armi per un fatturato complessivo di 2 mila e 926 miliardi, con un incremento netto relativo all’anno precedente di quasi l’85 per cento.


[Pubblicato su “Canerero” n. 26 del 12 maggio 1995, p. 2]

Nell’armadio della Volkswagen

La Volkswagen ha un cadavere nell’armadio, neanche tanto nascosto volendo essere sinceri.

Si tratta delle decine di migliaia di deportati che dai campi di concentramento vennero da Hitler dirottati direttamente nella città-fabbrica di Wolfsburg, costretti a produrre armi (fra cui le famose V-1, le bombe volanti) ed attrezzature militari per la grande Germania del Terzo Reich.

Direttamente all’interno della struttura che oggi produce le Passat e le Golf, ammirate dappertutto per la loro solidità ed efficienza, morirono migliaia di forzati del lavoro. Ogni piccola infrazione veniva punita ferocemente, ogni tentativo di fuga significava la morte sul posto.

Finita la guerra la Volkswagen ha fatto di tutto per pulire il proprio marchio. Ha versato circa 12 milioni di marchi alle organizzazioni dei reduci, ha eretto un monumento ai suoi ex schiavi, ha finanziato ricerche storiche sulle pagine peggiori della guerra voluta dai nazisti, ma si è trattato di palliativi. Non appena ci sono state richieste più consistenti, ha sempre opposto resistenze anche sul piano legale.

Una di queste richieste è stata quella di un indennizzo vero e proprio per il lavoro gratuito concesso dagli schiavi sotto minaccia di morte, lavoro che ha arricchito l’azienda tedesca oltre che sostenuto la guerra della Germania, richiesta ovviamente rifiutata, con relative approvazioni dei tribunali tedeschi. Dei quattrocento bambini morti di stenti e di fame nelle baracche di Wolfsburg nessuno parla. Dopo tutto alla Volkswagen non c’erano forni crematori, ma cimiteri regolarmente autorizzati.


[Pubblicato su “Canerero” n. 26 del 12 maggio 1995, p. 3]

Solo alla nuca

Gli scontri fra organizzazioni rivali in Brasile, e in particolar modo a Rio de Janeiro, sono cronaca giornaliera. Le varie mafie si contendono sia il traffico di stupefacenti che la distribuzione e la circolazione clandestina delle armi.

Di regola questi scontri si concludono con decine di morti fra gli appartenenti alle bande che lottano tra loro e anche fra passanti delle favelas.

A quel che riportano le cronache qualche giorno fa, a Rio de Janeiro, ci sono stati invece diversi conflitti e fuoco con la polizia. Un gruppo speciale di poliziotti, comandati da un certo Mario Azevedo, ha catturato una trentina di uomini e li ha uccisi tutti con un colpo sparato alla nuca.

Sembra che non sarà aperta nemmeno una banale inchiesta giudiziaria in quanto il responsabile delle esecuzioni ha dichiarato apertamente in televisione che gli uomini uccisi facevano tutti parte della banda comandata da un certo Marcinho, fornitore di armi per altre organizzazioni e quindi ritenuto molto pericoloso.


[Pubblicato su “Canerero” n. 27 del 19 maggio 1995, p. 7]

Il cappellano militare

Il Papa ha nominato il nuovo arcivescovo di San Salvador in sostituzione di quello precedente, morto per infarto qualche mese fa. La notizia non sarebbe stata interessante se la nomina non fosse caduta su Fernando Saenz Lacalle, uno spagnolo dell’Opus Dei, che è stato per molti anni amministratore apostolico dell’Ordinariato militare del Salvador, insomma il capo di tutti i cappellani militari dell’esercito.

Se si pensa al ruolo che l’esercito salvadoregno ha avuto nel corso della guerra civile durata 12 anni nel paese, si può capire il modo in cui questa nomina è stata accolta dalla gente. Le responsabilità dell’esercito nelle torture e nelle repressioni di massa, nelle sparizioni e nei genocidi è stata enorme, e i cappellani hanno avuto la loro grossa parte in questa responsabilità in termini non soltanto morali.

Gli squadroni della morte che assassinarono più di 75.000 persone nel corso di tutta la guerra civile, erano formati da membri dell’esercito. Uno di essi, al comando del maggiore Roberto d’Aubisson (fondatore del partito che oggi si trova al governo, “Arena”), guidava lo squadrone della morte che uccise l’arcivescovo Romero nel marzo del 1980.

Dopo la fine “ufficiale” della guerra civile gli squadroni della morte hanno cambiato nome. Adesso si chiamano “Ombra nera”, e pretendono combattere la criminalità.

È certo che il governo di Armando Calderon Sol, un discepolo del maggiore Aubisson, troverà un considerevole appoggio nella recente nomina papale. Monsignor Lacalle è un reazionario e guida l’opposizione reazionaria interna alla conferenza episcopale. Inoltre, si tratta di una nomina che lascia vedere il ruolo sia dell’Opus Dei, sia delle idee papali in merito al governo degli Stati più poveri e più soggetti a possibili ribellioni di sfruttati fra i più miserabili della terra.


[Pubblicato su “Canerero” n. 27 del 19 maggio 1995, p. 7]

Dall’alto, senza motivo

Trenta palloni aerostatici muniti di scritte in caratteri coreani e con attaccati dei grossi tubi di plastica sono stati avvistati mentre atterravano su diverse località del Giappone. La zona coperta da questi atterraggi si ritiene sia stata di quasi cinquecento chilometri quadrati, comprendendo 13 delle 47 prefetture in cui si divide l’intera nazione giapponese. Queste considerazioni sono importanti per capire l’estensione del progetto – per il momento soltanto intimidatorio – e le possibili conseguenze di un suo ripetersi con l’impiego di tubi contenenti gas venefico tipo Sarin.

In passato palloni del genere, provenienti dalle vicine Corea del Nord o del Sud, erano stati usati per diffondere propaganda (comunista o anticomunista, a seconda della provenienza). Oggi invece i palloni sono arrivati con questi tubi vuoti, che scatenano le paure collettive dei Giapponesi.

Così l’attacco realizzato con una bomba all’aeroporto di Tokyo una settimana fa in perfetto stile “Armata Rossa”, è passato quasi sotto silenzio. I palloni fanno più paura proprio perché non hanno apparentemente una spiegazione plausibile. Chi potrebbe avere interesse a diffondere dall’alto un gas capace di uccidere migliaia di persone senza lasciare traccia?

E come ogni cosa che non si capisce, fa paura.


[Pubblicato su “Canerero” n. 28 del 26 maggio 1995, p. 7]

Una pesante passeggiata

Una settimana fa, a San Diego, in California, un uomo si è impadronito di un carro armato e se ne è andato in giro distruggendo decine di macchine posteggiate nei dintorni, abbattendo i pali della luce e i segnali stradali. Una passeggiata che la polizia ha interrotto uccidendo il guidatore.

Le armi di cui il carro era in dotazione, un cannone da 105 e una mitragliatrice, a dire della stessa Guardia nazionale, erano scariche, e la cosa non desta meraviglia. In fondo lo stesso M60, il carro armato sottratto al deposito dell’esercito riservista americano, è ormai fuori uso e viene utilizzato appunto solo dalla Guardia nazionale, una sorta di baraccone militarista dove passano insonni week-end, impiegati statali e maestri di scuola, comandati da pulcinella in divisa esonerati dalla carriera nell’esercito per comprovate incapacità.

Quando il carro è andato a sbattere contro un muro di cemento e si è bloccato, i solerti poliziotti di San Diego sono balzati sulla torretta ed hanno freddato il conducente a colpi di pistola.

La polizia ha dichiarato che il conducente faceva parte di uno dei tanti gruppi paramilitari di estrema destra che prolificano oggi in America, ma la cosa non è certa, mentre sembra più credibile un atto di ribellione individuale.

L’M60 è una grossa bestia e deve aver messo davvero paura ai pendolari dell’autostrada 163 della California meridionale.

Due giorni fa, in Germania, a Bad Salzungen, in Turingia, un soldato tedesco si è impadronito di un “Leopard” che si trovava in caserma e se ne è andato a spasso per 25 chilometri allo scopo di imitare la passeggiata di San Diego. Gli è andata bene, bloccato dalla polizia è stato solo arrestato.


[Pubblicato su “Canerero” n. 28 del 26 maggio 1995, p. 7]

Tornando indietro

Una settimana fa, nel North Carolina, un lavoratore licenziato si è munito di fucile e pistola e, tornato sul posto di lavoro, ha cominciato a sparare contro alcuni ex colleghi uccidendone tre e ferendone diversi altri.

Il fatto ne richiama un altro alla memoria, accaduto qualche mese fa a San Francisco, quando un uomo armato di due fucili e diverse altre armi da fuoco ha ingaggiato un conflitto a fuoco con la polizia durato diverse ore, prima di venire ucciso. Nello scontro uccisi anche un poliziotto e due passanti.


[Pubblicato su “Canerero” n. 28 del 26 maggio 1995, p. 7]

Tutt’altro che fanciulli

Ancora enormi macigni (trenta chili circa) gettati dai cavalcavia dell’autostrada, due auto danneggiate, altre sfiorate da un disastro mortale. Il luogo: l’autostrada Trapani-Palermo.

A lanciarli non proprio dei bambini, come era accaduto altre volte, ma due giovani operai, due che si erano stancati della quotidiana ripetitività della vita e che avevano trovato in questo sport un modo per allietarsi i fine-settimana.

Attardatisi sul luogo, i due sono stati fermati dalla polizia. Interrogati hanno finito per confessare.

Esecrazione generale, con toni al di sopra del rigo, il che di regola vuol dire che tutti hanno paura, una paura senza nome, come di cosa non ben delineata nei contorni, non ben conosciuta.


[Pubblicato su “Canerero” n. 28 del 26 maggio 1995, p. 7]

Perché

Un filo di rame sufficientemente grosso, teso ad altezza d’uomo, attraverso la strada. A Massa, nel viale a mare, una trappola micidiale, un gioco incomprensibile che, ripetutosi a distanza di mesi, sta facendo paura a tutti coloro che la sera si avventurano in giro sulle motociclette.

Per il momento il tizio che c’è incappato si è salvato, ma solo perché era un guidatore prudente. Fosse andato più veloce il filo gli avrebbe, forse, staccato la testa.

Frenetiche indagini della polizia. Risultati, nessuno. Soltanto la paura.


[Pubblicato su “Canerero” n. 28 del 26 maggio 1995, p. 7]

Ferocia senza perplessità

In Africa, come per altro in molte altre parti del mondo, la violenza più atroce non è certo un’eccezione. Ma c’è una violenza più essenziale, che mette paura solo a pensarci. Tutti coloro che l’hanno sperimentata o l’hanno vista all’opera (in massima parte si tratta di contadini), se sopravvissuti, ne hanno sempre parlato con vero terrore. È quella dei bambini, cioè dei bambini addestrati ad uccidere.

Si tratta di bambini e di adolescenti (dagli otto ai quindici anni) che vengono reclutati dalle diverse organizzazioni che operano nei più disparati contesti di conflitto civile in Africa, e che dopo un regolare addestramento vengono utilizzati come killer o come vere e proprie bombe umane contro l’avversario di turno.

L’addestramento viene fatto in piena regola. Specialisti in psicologia e stregoni delle varie tribù, utilizzano i mezzi combinati della scienza e della magia per ottenere dei veri e propri replicanti. Così, vengono lanciati in attacchi suicidi, utilizzati nei saccheggi e nelle uccisioni di massa. La loro ferocia è senza perplessità, diremmo quasi assoluta. Essendo stati rimossi nella loro coscienza tutti i legami che di solito forniscono giudizi etici e freni inibitori, queste piccole macchine da guerra non provano nessuna emozione nell’uccidere, per cui dopo, i pochi superstiti, con un altro trattamento che viene descritto come particolarmente efficace, possono essere “ripuliti” attraverso l’ipnosi, e riavviati alla “normale” vita nei villaggi.

Le frontiere dell’umano sono come sempre inimmaginabili.


[Pubblicato su “Canerero” n. 28 del 26 maggio 1995, p. 7]

Resta solo il Re Leone

Il territorio tra Pistoia e Firenze è contrassegnato da condizioni di considerevole degrado ambientale. Le discariche più o meno abusive, le ciminiere, gli scoli, le fogne a cielo aperto, e quant’altro la tecnologia industriale (e militare nello specifico) è riuscita a mette insieme, sono dappertutto. Il veleno è nell’aria, nelle acque, nella terra, nelle piante e nell’erba.

I caprioli muoino e i tecnici, come al solito chiamati a osservare le conseguenze di un’azione e a non far qualcosa per quel che concerne la causa, non sanno che fare. Gli animali cadono al suolo privi della vista, dopo qualche tempo tirano le cuoia.

I bambini, resi sensibili dalla propaganda di Walt Disney, piangono disperati davanti ai televisori.

I genitori, di quando in quando, pensano alle pioggie acide, ai virus e ai batteri, ma, non sapendo neanche cosa sono, per andare sul sicuro comprano ai propri figli l’ultima cassetta con le vicende di Re Leone, e si addormentano tranquilli.


[Pubblicato su “Canerero” n. 29 del 2 giugno 1995, p. 7]

Nessun futuro

Che cosa può spingere un malato di Aids a infettare gli altri, a trasmettere la sua malattia – che è mortale e irrisolvibile – a un’altra persona, a uno sconosciuto?

Non si tratta di una domanda che presume di rinviare alla particolare situazione psicologica del malato di Aids, ma che si allarga al senso di spaventosa solitudine e impotenza che può prendere le persone che si trovano in questa condizione. Sentendosi abbandonate odiano chi li ha abbandonati, non riuscendo a dar corpo ai propri nemici, finiscono per odiare tutta l’umanità.

L’odio è una sorta di panacea a buon mercato, aiuta ad andare avanti, dà ragioni a una vita che ragioni di vivere non ha più.

A queste condizioni non ci sono suggerimenti alternativi, non ci sono obiettivi diversi da segnalare. Così una ragazzina, magari con la violenza, viene costretta a un rapporto sessuale, mentre altri nascondono fra i sedili dei treni, nei poggiatesta o nelle tendine degli scompartimenti le siringhe infette.

L’evento “malattia” è entrato nel loro corpo come una novità imprevedibile, in assoluta contraddizione con tutti gli espedienti con cui siamo abituati a prevedere quello che ci accadrà in futuro. Niente può ricostituire per loro quel meccanismo rassicurante che tiene lontana la morte e sulla base del quale siamo in grado di considerare la vita degna di essere vissuta. Non sono più in grado di salvarsi, non solo della malattia, ma proprio nel modo di porsi di fronte al proprio futuro, alla propria prevedibilità di vita. Non hanno più modo di salvarsi dalla minaccia del proprio divenire, non possono cioè più controllare questa minaccia, sono stati abbandonati dalla scienza e dal senso irrazionale di sicurezza che questa fornisce. Sono del tutto in balia della propria certezza di morire

Tutto il mondo è contro di loro e loro sono contro tutto il mondo. Allentandosi il senso della vita, la guerra è totale.


[Pubblicato su “Canerero” n. 30 del 9 giugno 1995, p. 3]

 
 

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